I dibattiti sul presente e sul futuro della Cina – una potenza “emergente” – non mi hanno
mai convinto. Alcuni affermano che la Cina ha scelto, una volta e per tutte, la “via capitalistica” e intende perfino accelerare il suo inserimento nella globalizzazione capitalistica contemporanea. Ne sono molto compiaciuti e sperano solo che questo “ritorno alla normalità”
(dato che il capitalismo è “la fine della storia”) si accompagni a un avvicinamento alla democrazia di tipo occidentale (pluripartitismo, elezioni, rispetto dei diritti umani). Essi credono – o hanno bisogno di credere – nella possibilità che la Cina con questi mezzi si inserisca,
seppure gradualmente, in termini di reddito pro-capite nelle società opulente dell’occidente,
cosa che io non ritengo possibile. I cinesi condividono questo punto di vista. Altri deplorano
ciò, in nome dei valori di un “socialismo tradito”. Alcuni si associano alla pratica occidentale del China bashing (1). Altri ancora – coloro che detengono il potere a Pechino – descrivono la via intrapresa come “socialismo alla cinese”, senza ulteriori precisazioni. Se ne possono peraltro riconoscere le caratteristiche leggendo da vicino i testi ufficiali, in particolare i
piani quinquennali, che sono precisi e vengono seguiti piuttosto seriamente.
Di fatto la domanda se la Cina sia capitalista o socialista è mal posta, troppo generale ed
astratta per permettere una risposta che abbia un senso nei termini di questa alternativa assoluta. Di fatto la Cina ha sempre seguito una sua strada originale fin dal 1950, o forse fino
dalla rivoluzione dei Taiping nel XIX secolo. Cercherò qui di chiarire la natura di questa via
originale ad ogni fase del suo sviluppo dal 1950 a oggi – nel 2013. http://www.puntorosso.it/images/saperi/samir-amin-cina-2013.pdf http://www.puntorosso.it/ http://www.iai.it/pdf/OrizzonteCina/OrizzonteCina_13-05.pdf http://www.agichina24.it/focus
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