mercoledì 8 ottobre 2014

Pensare la dignità oggi. Una rassegna filosofica - Carlo Crosato

Ci siamo dimenticati il significato della dignità, e con esso abbiamo dimenticato la sua origine. Ci siamo avviati verso una benefica modernità, che si fonda (come voleva Hegel) su autocoscienza, autodeterminazione e autorealizzazione. Ma abbiamo declinato questi tre percorsi in un senso individualistico e deviante, concedendo al sistema capitalistico di darci un valore. Il fine, l’uomo, si è tramutato nel mezzo di sostentamento di ciò che prima era mezzo: lo strumento economico.

Costituzione della Repubblica italiana (dicembre 1947).
 Nell’apertura del documento, si legge che la Repubblica italiana si fonda, non sulla imprescrittibilità dei diritti e nemmeno sulla intangibilità della dignità dell’uomo, bensì sul lavoro: la dignità, che nell’Europa settentrionale e negli Stati Uniti d’America è fulcro naturale o creazionale delle norme che regolano i rapporti tra i cittadini come persone, come uomini astrattamente intesi, in Italia viene connessa agli uomini nei loro fattuali rapporti sociali, ma soprattutto economici. La dignità non è ciò che accomuna gli individui giuridici, ma si configura come la possibilità di svolgere e scegliere «un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società» (art. 4). Il punto focale della questione, dunque, non viene posto sulla naturalità e sulla imprescindibilità della dignità e dei diritti che da essa derivano, bensì sulla possibilità di esprimere e realizzare (rendere reale) la propria dignità, mediante il lavoro.

L’accento, insomma, viene posto sulla dimensione (di utilità) sociale alla quale ogni individuo, mediante il proprio contributo materiale e lavorativo, prende parte: solo con il lavoro, infatti, l’individuo sviluppa appieno la propria personalità e, così facendo, verifica la propria dignità. Se nelle costituzioni prima richiamate la dignità era un valore immodificabile e slegato da ogni legale sociale o storico-fattuale, nella Costituzione italiana la dignità dell’uomo viene legata alla concreta (storico-fattuale) collocazione di ogni persona nei rapporti sociali ed economici.

Si tratta, com’è evidente, di una considerazione della dignità che poco ha a che fare con il giusnaturalismo moderno da cui la Costituzione tedesca o quella statunitense prendono spunto. E se parrà pretestuoso affermare l’eredità ancora presente nella Costituzione italiana del diritto romano – per il quale la dignità è vincolata alle cariche pubbliche che l’individuo ha ricoperto –, non pare comunque fuori luogo segnalare una certa analogia, consistente in una simile idea di dignità come relativa al ruolo sociale di ogni cittadino. Un’idea di dignità, quindi, molto simile a quella che con Hofmann prima avevamo chiamato “per prestazione”. Non si travisino, però, le intenzioni dell’assemblea costituente: rileggere la dignità della persona come fortemente vincolata alla dignità del lavoro ha certo la funzione di sottolineare la necessità per ogni cittadino di contribuire al bene anche materiale della collettività; ma ha la funzione soprattutto di divellere ogni privilegio, offrendo invece una maggiore visibilità e un maggiore sostegno alla classe lavoratrice e operaia.


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