domenica 5 settembre 2010

Sull' URSS

Alcune considerazioni sulla storia dell’Urss
di Marcello Grassi
A proposito di storia sovietica importanti contributi sono venuti dai seguenti
storici anglosassoni, docenti di prestigiose università, che hanno attinto alle fonti
documentarie, accessibili dopo la perestroika e il crollo dell’URSS.
Ho letto con qualche fatica in inglese i seguenti volumi e articoli.
S. Fitzpatrick The cultural front. Power and revolutionary Russia Cornell University
Press 1992
S. Fitzpatrick Educational level and social mobility in Soviet Union 1921-1934
Cambridge University Press 1979
J A Getty Origin of great purges: the soviet communist party reconsidered 1933-
1938 Cambridge University Press 1999
J A Getty R T Manning Stalinist terror: new perspectives Cambridge University
Press 1993
S G Wheatcroft Toward explaining the changing levels of Stalinist repression in
1930s. mass killing Europe-Asia studies 51;113-145.1999
S G Wheatcroft Victims of Stalinism and the Soviet Secret Police. The comparability
and reliability of archival data. Not the last word Europe-Asia Studies 51; 515-545,
1999
R W Davies M Harrison, S G Wheatcroft The economic transformation in Soviet
Union 1914-1945 Cambridge University Press 1994
Poiché è mia abitudine documentarmi in modo imparziale aggiungo che ho letto i
seguenti libri sulle vicende sovietiche di vittime delle repressioni o di autori anti
sovietici o di oppositori di Stalin:
L’arcipelago gulag di Solzhenitzin, Il grande terrore di R.Conquest, Lo Stalinismo
di R. Medvedev, Il lungo terrore di F. Bettanin, L’epoca e i lupi di N. Mandelstam,
Ho amato Bucharin di Anna Larina, moglie di Bucharin, Il redivivo tiburtino di D.
Corneli, Viaggio nella vertigine di Natalia Ginsburg. Ho letto anche la biografia di
Bucharin di Stephen Cohen e buona parte delle opere di Trotzki, in particolare La
mia vita, La rivoluzione tradita, Storia della rivoluzione russa.
Va precisato che le opere di Conquest, Medvedev, Bettanin e Solzhenitsin sono
state scritte e pubblicate prima dell’apertura degli archivi dello stato sovietico e in
particolare degli organi giudiziari e del KGB, responsabili della repressione e delle
condanne degli oppositori veri o presunti del regime; esse, soltanto per questo, sono
largamente inattendibili, in quanto non fondate su adeguata documentazione.

Prima ancora che si arrivasse ad una corretta documentazione a me parvero
scarsamente fondate le cifre dei suddetti autori sulle vittime del comunismo in URSS,
spesso usate dai corifei del sistema capitalistico per liquidare, con la condanna
dell’esperienza sovietica, ogni progetto e velleità di proposta alternativa alla società
capitalistica.
Del resto basta riferirsi ai due censimenti, quello tenuto segreto del 1937 e quello
reso pubblico del 1939 per rendersi conto delle falsità insostenibili dei Conquest,
Medvedev ecc.
Nel 1937 (gennaio) il censimento indicò in 162.000.000 la popolazione dell’URSS;
nel 1926 ( dicembre) il censimento dette la cifra di 147.000.000.
Questo significa che in quel periodo la popolazione crebbe dello 1,02 %° l’anno,
incremento identico a quello italiano e superiore al contemporaneo incremento medio
annuale di Francia, Inghilterra e Germania.
Il censimento del gennaio 1939 indicò in 170.000.000 la popolazione dell’URSS;
secondo attendibili fonti la cifra è tropo alta e va ricondotta a 168-169.000.000.
Anche accettando le cifre più base abbiamo un incremento medio rispetto al 1926
(dicembre) del 1,42%°, nettamente superiore a quello degli altri paesi dell’Europa
occidentale.
La popolazione dell’URSS nel 1939, sempre accettando la cifra più bassa,
incideva sul totale della popolazione mondiale per il 7,77 % (1919 7,50%); nello
stesso periodo (1919-39) la Francia passa dal 2,17 al 1,91, la Germania dal 3,33 al
3,13, il Regno Unito dal 2,39 al 2,13, l’Italia dal 2,11 al 2 ( malgrado la campagna
demografica del fascismo), gli USA dal 5,84 al 6 e il Giappone dal 3,03 al 3,05.
Le cifre sono tratte dal I volume dell’opera di Mario Silvestri La decadenza
dell’Europa occidentale Einaudi ed.
Bastava leggere i numeri per rendersi conto che le cifre dei repressi e delle vittime
sono state addirittura decuplicate, in alcuni casi, nei vari libri neri, al punto che lo
stesso coautore del Libro nero del comunismo, Nicholas Werth, ha dovuto rettificare
al forte ribasso le cifre gonfiate presenti nell’opera, come riconosciuto da lui stesso in
un articolo dei primi annni ’90 sulla rivista L’Histoire
Sia chiaro: nessuno vuole giustificare quanto di eccessivo e di arbitrario vi fu nelle
repressioni che accompagnarono il primo tentativo di costruzione di una società
socialista. Più in generale, da un punto di vista laico, che non concede illusioni,
speranze o timori di vite diverse da quella che viviamo su questa terra, il bene più
prezioso è la vita. Aggiungo che la consapevolezza del suo valore aumenta con la
vecchiaia, quando le delusioni hanno smorzato molti eroici furori e la meta finale è
sempre più vicina, fermo restando che esistono valori e principi per i quali comunque
la vita può e deve essere messa in gioco.
Resta il fatto che la storia è percorsa ininterrottamente dalla violenza, costantemente
impiegata dalle classi dominanti sulle classi oppresse, e che le vittime delle
rivoluzioni sono a conti fatti ben poca cosa rispetto alle tragedie di massa e
plurisecolari provocate dalle guerre, dalla povertà, dalla sottoalimentazione, dalle
inumane condizioni di lavoro, dalle emigrazioni, dal colonialismo e dalle conquiste a
spese di intere popolazioni, che hanno costellato la lunga storia delle società divise in
classi.
E’ lecito chiedersi se i colpi , peraltro spesso inefficaci, dei catenacci garibaldini a
Calatafimi fossero meno omicidi delle fucilate borboniche o se i colpi molto più
efficaci delle artiglierie nordiste fossero meno violenti delle repliche sempre più
fioche dei soldati della confederazione sudista: certo è che, anche sfrondando quelle
vicende dalla retorica inevitabilmente connessa, non posso fare a meno di schierarmi
con i garibaldini e con Lincoln; senza quelle violenze i neri sarebbero rimasti schiavi
e l’ottusa monarchia borbonica avrebbe continuato a tenere fuori dal consorzio
civile le genti del meridione d’Italia, checchè dicano i nostalgici di Re Bomba e di
Franceschiello.
Questo non ci impedisce di guardare con rispetto ed ammirazione agli ultimi
difensori di Gaeta o al bravo generale Lee, che con forze nettamente inferiori tenne in
scacco e battè più volte i generali nordisti.
Va detto anche che libri neri furono scritti anche sul Risorgimento ( De Sivo, Buttà)
e sulla fine del regno delle Due Sicilie e ovviamente non senza dati di fatto e qualche
buona ragione. Anche in questo caso le cifre furono usate per attribuire ai vincitori
orrori e nefandezze di ogni genere; storici borbonici parlano di un milione di morti su
una popolazione di 9.000.000 di abitanti del regno, comportandosi come i Pansa e i
Conquest a proposito della Resistenza e della storia dell’URSS.
Si tratta evidentemente di cifre inaccettabili; tuttavia è certo, e documentato dagli
stessi proclami e bandi dei vari Pinelli, Cialdini, La Marmora, dalle leggi eccezionali
emanate dal neonato Regno d’Italia, dalla sospensione delle garanzie costituzionali,
dal brutale trattamento dei prigionieri di guerra napoletani, che la repressione
delle insorgenze delle popolazioni del sud contro lo stato italiano, sbrigativamente
classificate come brigantaggio, fu durissima e feroce. Episodi come la fucilazione
degli ultimi difensori di CIvitella del Tronto, dove dopo Gaeta si ammainò l’ultima
bandiera borbonica, da parte dei vincitori sono una delle tante pagine nere del nostro
risorgimento: E se non ci fu 1.000.000 di vittime, certamente il numero dei fucilati
superò i 100.000.
Dopo questa lunga ma non inutile digressione è tempo di tornare alla storia delle
repressioni che accompagnarono la contraddittoria e complessa vicenda sovietica,
cercando di rispondere ai seguenti quesiti: quanti furono i condannati dagli organi
giudiziari di vario tipo (troike, tribunali ordinari, polizia politica, tribunali militari),
quali categorie furono particolarmente colpite e quali furono le dinamiche politiche,
istituzionali, sociali alla base delle repressioni.
Gli storici russi Zemskov, Dugin e Klevniuk hanno potuto disporre dei dati di
archivio, e comunicarli in numerosi articoli e libri; specialmente informato e rigoroso
il primo, membro dell’Istituto di storia dell’Accademia delle Scienze Russa; egli ha
pubblicato le sue ricerche nei primi anni ’90, alla fine e dopo il crollo dell’URSS,
avendo accesso agli archivi del Ministero dell’interno (MVD-KGB), del precedente
commissariato del popolo agli interni (NKVD), della polizia di stato (OGPUNKVD),
degli organi giudiziari.
Le cifre complessive furono pubblicate da Zemskov, Getty e Rittesporn in American
Historical Revue. giugno 1994
Dal 1921 al 1953 furono condannate per attività controrivoluzionaria circa 4.000.000
di persone, delle quali 780.000 furono fucilate; nei campi di lavoro, colonie penali
e prigioni morirono 600.000 detenuti politici. Si possono calcolare pertanto in
1.400.000 i morti per motivi politici nell’URSS dalla fine della guerra civile alla
morte di Stalin.
Sono come è evidente cifre pesanti, ma ben lontane da quelle riferite dai vari
Conquest, Medvedev, Solzhenitzin, che oscillano tra 10.000.000 e 40.000.000 milioni
di esecuzioni.
Nel sistema penale sovietico i condannati potevano, nei casi più gravi, essere inviati
nei campi di lavoro forzato (Gulag), per reati meno gravi nelle colonie di lavoro,
dove i condannati erano impiegati nelle fabbriche o nell’agricoltura e percepivano
un regolare salario, o in particolari zone di residenza con proibizione di risiedere in
alcune città, in genere Mosca o Leningrado. In quest’ ultimo caso godevano in genere
dei diritti politici; in attesa della sentenza gli accusati erano tenuti nelle prigioni.
Il totale dei condannati nei Gulag oscillò tra un minimo di 510.000 nel 1930 a un
massimo di 1.711.202 nel 1952.
I condannati presenti nei Gulag, colonie di lavoro e prigioni oscillarono fra 1.335.
032 del 1944 e 2.561.351 del 1950. Mancano i dati complessivi fino al 1939, quando
si raggiunse la cifra generale di 2.000.000.
Le cifre, drammatiche, ma di gran lunga inferiori a quelle proposte da “storici” di
parte e privi di documentazione, debbono essere completate dai dati sulla mortalità
e meritano qualche commento. La mortalità generalmente oscillante intorno al
3% annuo toccò punte elevate nel 1942 e 1943, 17%, durante il periodo bellico,
quando anche le condizioni alimentari, igieniche, di salute della popolazione civile
peggiorarono drammaticamente. Al tempo stesso la popolazione dei Gulag diminuì
drasticamente, perché molti condannati furono arruolati nell’esercito.
Il forte incremento degli anni postbellici è in parte da attribuire alla presenza di
prigionieri di guerra, condannati per diserzione e collaborazione con gli occupanti
tedeschi
E’ comunque interessante notare che la popolazione detenuta nel suo complesso
arrivò a toccare al massimo il 2,4% della popolazione adulta; nel 1996 erano detenuti
negli USA 5.500.000 persone cioè il 2,8% della popolazione adulta.
E’ appena il caso di sottolineare che si tratta di due situazioni completamente diverse:
da una parte un paese uscito da una guerra mondiale e civile, combattute sul suo
territorio, sede di un drammatico rivolgimento sociale, impegnato in una lotta mortale
per la sopravvivenza, prima con un gigantesco sforzo di edificazione economica e
culturale , poi in una guerra vittoriosa a prezzo di immense perdite materiali e umane;
dall’altra il paese più ricco e tecnologicamente del mondo , che pur partecipando
alle due guerre mondiali, non ebbe un centimetro quadrato toccato dal nemico, soffrì
perdite umane di gran lunga inferiori e trasse non pochi vantaggi economici dalle
guerre stesse.
Le statistiche, finalmente disponibili, ci dicono anche che la grande maggioranza dei
condannati (80-90%) riceveva pene inferiori a 5 anni, meno del 1% superiori a 10.
Vanno anche ricordati i provvedimenti di amnistia, i più larghi dei quali, che
interessarono oltre un milione di detenuti, nel 1945 e nel 1953.
Credo che qualunque paragone con i campi di concentramento nazisti sia un offesa
alla verità; lì i deportati erano destinati, se ebrei, rom o di razze considerate inferiori,
a morte certa; nessun tribunale aveva decretato la loro condanna; le pene non
prevedevano un termine, non c’erano amnistie; non c’era la possibilità di revisione
della condanna e di riabilitazione, come, anche in epoca staliniana avvenne per non
pochi condannati: per quanto dure potessero essere le condizioni nei campi sovietici,
e mi riferisco alle memorie di Ginsburg, Larina, Corneli, Solzhenitsin, non erano
paragonabili a quelle dei lager nazisti.
Non era infrequente che condannati che avevano scontato la pena restassero a
lavorare come liberi nelle strutture produttive dei campi o nelle colonie di lavoro.
Infine i politici rappresentarono costantemente non più del 25-30% dei condannati.
Prima di procedere ulteriormente nella nostra analisi credo necessaria qualche
premessa.
La rivoluzione russa scoppia nell’anello più debole del sistema capitalistaimperialista,
nel mezzo di una guerra mondiale, caratterizzata da immani perdite
umane e materiali; alla fine del I conflitto mondiale si contarono 10.000.000 di
caduti, ai quali si debbono aggiungere almeno il doppio di feriti e mutilati. Come
conseguenza della guerra e delle precarie condizioni igieniche e alimentari di larga
parte della popolazione mondiale oltre 20.000.000 di persone morirono per la
pandemia influenzale “spagnola”.
Fu una rivoluzione contro “il Capitale”, secondo la definizione che ne dette
acutamente Gramsci, intendendo con ciò che la rivoluzione, vincitrice in un paese
con poche isole proletarie in un paese in gran parte contadino, aveva smentito le
previsioni marxiste di vittoria del socialismo nei paesi industrialmente più avanzati e
tecnologicamente progrediti con un numeroso ed evoluto proletariato.
Nella stessa Russia la rivoluzione d’ottobre, malgrado la vulgata e la mitologia
sovietiche, non fu maggioritaria, anche se fu genuinamente proletaria.
I bolscevichi ebbero la maggioranza nei soviet degli operai e dei soldati, ma non
nell’intera popolazione, come testimoniarono le elezioni per l’assemblea costituente
tenutesi nel gennaio 1918, pochi mesi dopo la presa del potere dei bolscevichi.
Questi ebbero circa il 25% dei voti, contro circa il 50% dei socialisti rivoluzionari (
in gran parte) e menscevichi ; il resto andò a partiti di destra e partiti delle minoranze
nazionali.
Lenin dedicò un’analisi attenta alle elezioni, rilevando che nelle due capitali,
Mosca e Pietrogrado e in generale nei centri industriali i bolscevichi avevano la
maggioranza assoluta dei voti, nell’esercito circa il 40-45% pressappoco come i
socialrivoluzionari, a loro volta divisi in una sinistra, che si alleò con i bolscevichi e
una destra contraria al potere sovietico, uscito dalla rivoluzione dell’ottobre 1917. La
gran massa contadina votò per i socialisti rivoluzionari.
La guardia rossa sciolse l’Assemblea costituente alla fine della sua unica seduta.
Dunque fin dall’inizio il potere si dovette confrontare con una realtà se non ostile
certamente con molte riserve; i contadini avevano avuto la terra con l’Ottobre e
durante la guerra civile finirono con appoggiare o comunque non osteggiare i rossi,
ma non di rado distinguevano nella loro confusione tra bolscevichi che avevano dato
le terre e comunisti che requisivano con la forza il grano per nutrire operai e soldati
rossi.
Altro elemento di debolezza e fonte di problemi e difficoltà fu il carattere
sostanzialmente russo dell’ottobre; in Ucraina i bolscevichi ebbero il 10% dei voti; in
Georgia la maggioranza era menscevica; nell’oriente musulmano i bolscevichi erano
rappresentati in gran parte da operai e intellettuali russi.
In sostanza le basi del potere erano operaie e, dal punto di vista nazionale,
russe, anche se nel partito bolscevico erano presenti ai vertici molti esponenti
delle nazionalità non russe dai georgiani ( Stalin, Ordzhonikidze), ai polacchi (
Dzerzhinski) agli armeni (Mikoian), ai Lettoni (Latsis, Peterson, Kollontaj) agli ebrei
( Trotzki, Zinoviev, Kamenev, Kaganovich).
Ovviamente non mi scandalizzo: rivoluzioni altrettanto decisive nella storia mondiale
ebbero il sostegno di minoranze più o meno numerose e la neutralità diffidente, se
non l’ostilità, della maggioranza; basti pensare alle fragili basi popolari del nostro
Risorgimento ( i plebisciti furono non meno falsi delle elezioni pro URSS nei paesi
baltici nel 1939), o al sostegno sostanzialmente minoritario di Kemal Ataturk o
al contrasto fra la Parigi dei giacobini e dei comunardi e il resto di buona parte
della Francia. Purtroppo bisogna ammettere che, sia pure in un clima di violenze, i
nazisti nel 1933 e Mussolini nel 1924 godettero di un consenso elettorale spontaneo
superiore a quello dei bolscevichi nel 1918.
Come disse Robespierre la virtù è stata sempre minoranza e i “virtuosi” non possono
venir meno al dovere di esercitare (spesso rudemente) le loro virtù.
Mi sono molto allontanato dal tema delle repressioni nella lunga vicenda dello stato
sovietico ma ritengo utile questa premessa per cercare di capire, che non significa
giustificare ciò che è stato e che, in non pochi casi, non può essere giustificato.
La rivoluzione aveva vinto in un paese dove l’analfabetismo toccava mediamente
il 70%, la produzione industriale era nel 1926 inferiore ai bassi livelli prebellici
del 1913, in alcuni casi (acciaio, petrolio) inferiore del 50% e le illusioni su una
prossima rivoluzione in occidente definitivamente svanite.
Ancora una volta si poneva il drammatico interrogativo che per altri motivi si era
posto Lenin:”Che fare?”
La scelta del gruppo dirigente, e in particolare di Stalin, come nell’ottobre, fu un
atto di volontà e di fede, cioè la rapida, forzata industrializzazione con il proposito
di modernizzare il paese, di garantirne la potenza militare e il progresso tecnico,
culturale, scientifico: il tutto, malgrado i buoni propositi e le enunciazioni ufficiali, a
spese di una cospicua componente della classe contadina.
Il processo fu tumultuoso e disordinato, largamente caratterizzato da volontarismo
e inesperienza; il fine fu complessivamente raggiunto, con una conclusione che
vide contemporaneamente l’ascesa di vecchi e nuovi operai, di un’intellighentsia
di origine operaio-contadina, che affiancò e sostituì la vecchia intellighentsia
prerivoluzionaria, e che costituì la base di consenso, insieme con operai vecchi e
nuovi, del regime. Diversa fu la sorte della classe contadina, che , seppure godette
di alcuni vantaggi (istruzione, sanità), e per la parte povera anche economici,
nell’insieme pagò il tributo fondamentale al rapido ,tumultuoso balzo in avanti dei
due primi piani quinquennali 1929-1938.
Il cammino percorso può essere indicato dalle seguenti cifre tratte da Huntington “ Lo
scontro delle civiltà”; la produzione manifatturiera della Russia incideva nel 1913 su
quella mondiale per circa l’8%, nel 1928 per circa il 5%, nel 1938 per il 9%.
Al tempo stesso si ebbe una rapida ascesa della classe operaia verso posizioni di
direzione politica, tecnica, amministrativa: nel partito gli operai passarono dal 56 al
65% dal 1927 al 1932 ( Rigby Il partito comunista sovietico Feltrinelli 1977), mentre
i meccanismi promozionali rappresentati dalle rabfak ( facoltà operaie), dalle scuole
di fabbrica e professionali, dai tecnicum, che bypassavano le scuole medie superiori,
portarono all’assunzione di ruoli dirigenti, soprattutto nelle attività produttive, da
parte di una neonata intellighentsia operaia.
L’idea generalmente diffusa di un partito ferreo, monolitico, perfettamente
organizzato, diretto con fredda determinazione dall’alto e in particolare da Stalin
deve cedere il passo ad una diversa realtà. Si deve allo studioso americano
M.Fainsod, in possesso degli archivi della federazione di Smolensk del PCUS,
pervenutigli dai tedeschi, uno studio di quella, che con ogni probabilità era la
situazione organizzativa generale del partito. Il disordine era grande: tessere non
consegnate, trasferimenti di iscritti non registrati, elenchi degli iscritti incompleti o
tenuti in modo negligente, tessere di defunti ancora in possesso dei familiari, che le
utilizzavano per fini privati, quote di iscrizione non riscosse, e frequenti denunce di
abusi e malversazioni dei boss locali.
Nelle periodiche epurazioni, incruente e generalmente attuate in pubbliche
riunioni davanti alle assemblee di cellula, la causa più frequente di espulsione era
l’ubriachezza, seguita da reati di natura penale e amministrativa.
Il mitico ferreo partito di Lenin era piuttosto lontano dal modello preconizzato dal
suo fondatore e di un metallo molto più molle di quello evocato dal nome di battaglia
del suo segretario.
Tra gli elementi di tensione, a parte le latenti o manifeste rivalità al vertice
drammaticamente aumentate con il tumultuoso balzo in avanti nel settore
industriale e la contemporanea crisi nel settore agricolo in seguito alla campagna
di collettivizzazione, c’era lo scontro tra nuova intellighentsia operaia e vecchio
personale tecnico prerivoluzionario, tra gli ultrainnovatori in campo scolastico e
culturale e la linea prudente del commissariato all’istruzione, tra quadri emergenti del
partito ed establishment politico, tra una base spesso scontenta dell’autoritarismo dei
vecchi dirigenti, detentori del potere e dei poteri ( talvolta dei privilegi) ai vari livelli.
Tutto ciò è ben documentato da molti degli autori citati all’inizio, Getty e FItzpatrick
in particolare, e dalla documentazione pervenuta a Fainsod.
Tutto questo per dire che le purghe e le conseguenti repressioni furono solo in parte
il risultato di un premeditato piano calato dall’alto, mentre una parte non secondaria
deve essere attribuita a movimenti e spinte incontrollate che partirono dal basso, nel
partito e nella società.
Un altro elemento di tensione fu determinato dalla nascita del movimento
stachanovista, quando operai cosiddetti d’avanguardia misero in discussione
l’organizzazione del lavoro e le norme di produzione nell’ industria; appoggiati
da Stalin gli stachanovisti entrarono in conflitto, con parte dei quadri tecnici in
alto, e con una parte dei lavoratori di base, elevando i ritmi di lavoro e innalzando
i traguardi e gli obiettivi da raggiungere. Con il movimento stachanovista si
accentuarono le differenze retributive nel mondo del lavoro, con qualche tensione
all’interno della stessa classe operaia.
Forti erano anche i timori di una guerra imminente, dopo l’affermazione del nazismo
in Germania e per la sua politica aggressiva, mentre ai confini orientali minacciava il
Giappone, con il quale ci fu una guerra non dichiarata sul finire degli anni’30, vinta
dai sovietici con le battaglie di Kalchin Gol e del lago Khassan. Forti sospetti destava
l’atteggiamento remissivo e talvolta complice delle maggiori potenze democratiche,
Francia, Inghilterra, USA nei confronti della politica di aggressione e di conquista
degli stati fascisti.
Nel partito, obbligato ad una forzata unanimità operativa, una volta prese le decisioni
dagli organi dirigenti, in nome del centralismo democratico, permanevano vaste
aree di dissenso, testimoniate dalla comparsa di piattaforme politiche alternative
clandestine, in genere elaborate da dirigenti non di primissimo piano, ma vicini
al vertice. Tali furono nei primi anni ‘30 le piattaforme di Riutin, di Syrtsov e
Lominadze, di Tolmacev ed Eismont, senza contare l’atttività dei gruppi rimasti in
collegamento con Trotzki, esiliato ma che poteva contare, per sua stessa ammissione,
su un discreto numero di seguaci all’interno del partito e dello stato.
Fu su questo partito che si abbattè non una delle periodiche, incruente epurazioni, ma
la durissima Ezhovscina, dal nome di N.I. Ezhov commissario del popolo agli interni
e capo della polizia politica, detto per la sua bassa statura e per la sua ferocia il nano
sanguinario, che travolto dallo stesso meccanismo da lui diretto, finì probabilmente
fucilato nel 1939.
Nel corso della purga del 1937-38 furono fucilate circa 700.000 persone ed
espulsi oltre 100.000 membri del partito, in buona parte finiti davanti al plotone di
esecuzione.
Contro chi fu diretta la purga?
Non vi è dubbio che essa colpì in gran parte membri dell’establishment politico e
statale, mentre i precedenti provvedimenti repressivi colpirono nel paese appartenenti
alle classi sconfitte, kulak e parte dei contadini medi, in alcuni casi esponenti
dell’intellighentsia prerivoluzionaria e, nel partito, prevalentemente la base.
Nel volume di Getty e Mannings in due capitoli si cerca di tipizzare i soggetti più
frequentemente colpiti.
Si trattava in genere di dirigenti a livello alto-medio del partito, per lo più entrati
nel partito prima e soprattutto durante la rivoluzione e la guerra civile, membri
dell’apparato statale sia a livello pansovietico che delle singole repubbliche,
maschi, di elevato o medio livello di istruzione; ovviamente furono colpiti quasi al
completo i membri delle vecchie opposizioni di destra e di sinistra; nell’ambito delle
professionalità i più colpiti furono gli ingegneri e in genere i tecnici impiegati in
attività produttive, più facilmente imputabili di sabotaggio; relativamente immuni
furono medici, artisti, letterati, insegnanti.
Meno colpiti furono anche i rappresentanti superstiti della vecchia intellighentsia.
Altro settore investito dalla purga fu l’esercito, ai suoi livelli più alti.
La grande purga del 1937-38 fu preannunciata dal primo dei tre grandi processi
pubblici del’agosto 1936, che vide sul banco degli imputati i vecchi oppositori
Kamenev e Zinoviev insieme ad altre figure minori.
Essa fu preceduta da due eventi: la nuova costituzione che estendeva il suffragio a
tutti i cittadini dell’URSS, eliminando le precedenti esclusioni per gli appartenenti
alle classi sconfitte o comunque considerati elementi alieni ( preti, ex guardie
bianche, ex kulak, ex nepman), e nel 1936 una stagnazione nel settore industriale e il
peggior raccolto degli anni trenta.
L’inizio ufficiale si ebbe con una risoluzione del Comitato Centrale del febbraio 1937
che invitava “ a smascherare e identificare senza pietà e rapidamente i mimetizzati
nemici del popolo”.
Un’ ondata di denunce , di arresti e di condanne investì l’intero partito; l’impulso
partito dall’alto fu raccolto e amplificato alla base per vari motivi: il desiderio di
sbarazzarsi di dirigenti considerati troppo autoritari o colpevoli di favoritismi, abusi
o semplicemente ritenuti ostacolo all’ascesa di elementi più giovani, la spinta a
trovare capri espiatori per insuccessi da ascrivere a incompetenza, difficoltà obiettive
di funzionamento degli impianti, improvvisazione ed eccessiva fretta nel realizzare
obiettivi di produzione spesso fissati senza tener conto delle reali possibilità, la
scarsa preparazione e cultura delle leve politiche e manageriali ascese durante il I
piano quinquennale, l’atmosfera di paura e di sospetto che pervadeva l’intero paese.
Non mancavano certamente reali colpevoli di cospirazioni e di complotti, soprattutto
se consideriamo la responsabilità politica di quanti, convinti che la direzione
staliniana avrebbe condotto al disastro il paese e il partito, si muovevano in modo più
o meno organizzato o concertato per rovesciarla, come dall’esterno incitava a fare
Trotzki.
Alla fine si trattava in ogni caso di comunisti, che da una parte o dall’altra, avrebbero
impiegato ogni mezzo, legale o illegale, per attuare la linea ritenuta più adatta per la
vittoria del socialismo p impedirne la sconfitta.
Secondo una non sospetta testimonianza di Humbert-Droz (L’Internazionale
comunista tra Lenin e Stalin Feltrinelli), amico di Bucharin, dirigente del Comintern
e uscito dalle fila comuniste nel secondo dopoguerra, nel 1928 Bucharin e gli
oppositori di destra d’accordo con gli oppositori di sinistra (Bucharin aveva
incontrato clandestinamente Kamenev nel 1928) progettavano l’eliminazione fisica di
Stalin.
I contatti tra Bucharin e Kamenev sono confermati nelle memorie della vedova di
Bucharin , Anna Larina.
E’ verosimile che il corso degli eventi andò oltre le intenzioni del vertice, tanto è vero
che nel gennaio del 1938 l’assemblea plenaria del comitato centrale intervenne
per invertirne la direzione, denunciando gli eccessi e gli abusi della purga, con
conseguente diminuzione degli arresti e la riabilitazione di molti membri radiati
o espulsi; tuttavia il processo non poteva essere facilmente arrestato ed ebbe fine
realmente negli ultimi mesi del 1938.
Al congresso del PCUS del febbraio 1939 Stalin, Molotov, Mechlis, soprattutto
responsabile del versante militare della purga, denunciarono gli eccessi: Il più
purtroppo era fatto, in un drammatico turnover, che spesso vedeva nello stesso luogo
di detenzione accusati e inquirenti, man mano che, soprattutto a livello degli organi
di sicurezza, si poteva essere colpiti per scarsa vigilanza o al contrario per eccessi ed
abusi nel portare avanti la grande purga.
La grande maggioranza del popolo non fu toccata e forse non furono in pochi a
rallegrarsi per i colpi subiti da un’ elite ritenuta responsabile delle difficoltà della vita
quotidiana, dalle quali era sostanzialmente esente.
Alcuni miti , alimentati dagli storici antisovietici e trotzkisti, vanno smentiti.
Contrariamente a quanto affermato la maggioranza dei vecchi bolscevichi non fu
colpita: dei 24.000 iscritti prima del 1917 ne sopravvivevano 12.000 nel 1922, 8.000
nel 1927, meno di 5.000 ( cioè tra 4.500 e 5.000 n.d.r.) nel 1939. Dei 420.000 membri
del PCUS nel 1920 ne rimanevano 225.000 nel 1922, 115.000 nel 1927, 90.000 nel
1939 ( Rigby IL PCUS 1917/1976). Altri dati forniti da JA Getty indicano in 182.600
gli iscritti prima del 1920, dei quali 125.000 erano presenti nel 1939.
Considerando che una parte morì per cause naturali e una parte fu solamente radiata o
espulsa senza ulteriori conseguenze è ragionevole pensare che circa il 20% dei vecchi
bolscevichi fu vittima dell’ezhovscina. La percentuale fu probabilmente più elevata
ai livelli più alti e certamente superiore a quella della popolazione in generale e del
personale tecnico e amministrativo non iscritto.
La purga investì l’esercito, ma non nella misura indicata dai vari Conquest,
Medvedev ecc. Dei 144.300 ufficiali e commissari dell’Armata Rossa 34.300 furono
espulsi per ragioni politiche; di questi 11.586 entro il maggio 1940 furono reintegrati
nel posto e nel grado; le vittime della purga nell’esercito furono pertanto 22.705, cioè
il 7,7% del totale. Anche in questo caso furono gli alti gradi ad essere più colpiti.
In particolare furono fucilati comandanti di stato maggiore come Tuchacevski e altri
in un processo segreto.
Molto si è scritto sull’affare Tuchacevski; una versione è che falsi documenti
attestanti il tradimento furono fabbricati e passati dai servizi segreti nazisti a Benes,
presidente cecoslovacco, e che questi li trasmise, credendoli autentici, ai servizi
sovietici. Stalin potrebbe averne approfittato per decapitare il vertice dell’esercito per
prevenire tentazioni bonapartiste da parte dei militari in caso di guerra e difficoltà
dell’URSS sul terreno militare; è noto che legami abbastanza stretti si erano stabiliti
tra i vertici militari e russi dopo la pace di Versailles, quando i tedeschi, non potendo
riarmarsi a casa loro, approfittarono della collaborazione e dell’ospitalità dei militari
sovietici.
La collettivizzazione delle campagne aveva avuto echi particolarmente sfavorevoli,
raccolti anche ai vertici, tra i soldati in gran parte contadini; storici non stalinisti,
come Deutscher e recentemente Getty ritengono probabile una cospirazione a
livello dei vertici militari per rovesciare un potere ritenuto impopolare e incapace di
affrontare una guerra moderna.
Come sempre dobbiamo capirci e pensare a uno scontro di natura politica, portato
alle estreme conseguenze, in cui fu il successivo svolgimento dei fatti, in particolare
la vittoria nella grande guerra patriottica, a stabilire le ragioni e i torti in termini
politici.
Ancora due parole sull’ assassinio di Kirov, il segretario della federazione di
Leningrado, collaboratore stretto di Stalin e suo fedele seguace, ucciso con un colpo
di pistola da un giovane studente, Nikolaiev, nel suo ufficio il 1 dicembre 1934.
A seguito del rapporto segreto di Krustsciov fu diffusa la voce che dietro
l’assassinio ci fosse la mano di Stalin; numerose commissioni nominate dal
partito furono incaricate di far luce sull’episodio. In nessun caso fu evidenziata la
responsabilità di Stalin; l’ultima presieduta da Jakovlev, gorbacioviano e poi passato
all’antisovietismo, l’ha esclusa.
Credo che meglio di ogni commento personale valga citare la conclusione di JA
Getty sulla grande purga del ’37-38:” I dati concreti indicano che la ezhovscina deve
essere ridefinita. Non era stata il prodotto di una burocrazia fossilizzata che eliminava
dei dissidenti e distruggeva dei vecchi rivoluzionari radicali. In realtà è possibile
che le purghe fossero tutto il contrario. Non è incompatibile con i dati disponibili
argomentare che le purghe fossero una reazione radicale contro la burocrazia. I
funzionari ben sistemati erano eliminati dal basso e dall’alto in un’ondata caotica di
volontarismo e di puritanesimo rivoluzionario.” JA Getty Origin of the great purges;
the soviet communist party 1933-38.”
Un dato è certo e fu rilevato dopo la guerra dall’ambasciatore USA Davies che era
a Mosca negli anni della grande purga: i nazisti, che avevano trovato appoggio e
collaborazione da parti cospicue delle classi dirigenti dei paesi invasi, Petain e Laval
in Francia, De Grelle in Belgio, Quisling in Norvegia, Mussert in Olanda, Monsignor
Tiso in Slovacchia, non li trovarono nell’URSS invasa e mortalmente minacciata.
L’URSS dal 1928 al 1940 attraversò un periodo, denso di luci ed ombre tra la
collettivizzazione delle campagne, i due piani quinquennali, la grande purga del
1937-38.
Alcune cifre desunte da Dobbs- L’economia sovietica, e sostanzialmente coincidenti
con quelle di altri AA. (M.Silvestri, Davies- Harrison- Wheatcroft già citati)
testimoniano dello sforzo compiuto.
La produzione dell’acciaio passò da 4,3 a 18,3 milioni di tonnellate, del carbone da
15,5 a 135,9, del petrolio da da 11,6 a 31,1, del cemento da 1,5 a 5,7, dell’elettricità
da 5 a 18,3 miliardi di kwh, la produzione di cereali da 73,6 a 77,9 milioni
di tonnellate, il livello del bestiame ritornò, dopo il crollo conseguente alla
collettivizzazione, ai livelli del 1926.
Fu sconfitto l’analfabetismo, fu garantito un livello generale, anche se non elevato,
di assistenza sanitaria a tutta la popolazione, aumentarono grandemente docenti e
discenti nei vari gradi dell’istruzione, conquiste notevoli furono realizzate in campo
scientifico, particolarmente in fisica, chimica, matematica; ma soprattutto emerse
una nuova classe dirigente, di origine operaia e in misura minore contadina e una
nuova intellighentsia tecnico-produttiva. Erano gli homines novi emersi dai piani
quinquennali, che non avevano partecipato ai dibattiti e alle divisioni del gruppo
dirigente del vecchio partito, non conoscevano l’occidente, non avevano ascoltato
i travolgenti discorsi di Trotzki e ignoravano i dotti saggi filosofici di Bucharin e
individuavano nella direzione staliniana la causa e la garanzia della loro ascesa; essi
si identificavano con il gruppo dirigente staliniano e in particolare in un leader,che
come loro, si vantava di essere un praktik, che insieme agli altri praktiki, aveva tenuto
in piedi il partito durante i duri anni della repressione zarista tra il 1905 e il ’17, che
si esprimeva con uno stile forse monotono, ma chiaro, talvolta infiorato da vecchi
proverbi russi, e non privo di un certo buon senso contadino. Senza questa base
di consenso e lo sviluppo culturale e tecnico connesso non potremmo spiegarci la
capacità che ebbe il paese di organizzarsi, affrontare e vincere la guerra. Non sarebbe
bastata tutta la polizia politica moltiplicata per 10 a spiegare le vittorie di Mosca, di
Stalingrado, di Leningrado, di Kursk e infine di Berlino.
Fu la generazione che combattè e vinse al grido di battaglia.” Za rodina, za Stalina.”
(per la patria per Stalin), e che sotto l’occupazione tedesca, quando vennero riaperti
molti luoghi di culto chiusi dal regime, cantava a bassa voce:” Doloi zerkov, doloi
chram- Doloi Hitlera i trista gram- Davai klubo i kino- Davai staliskoie kilo. (al
diavolo la chiesa- al diavolo la cattedrale-al diavolo Hitler e i trecento grammi- dateci
circoli e cinema-e il chilo (di pane) di Stalin.
Credo di aver dato un piccolo contributo di conoscenze a quella che fu parte
essenziale, nel bene e nel male, della storia del movimento comunista, senza
assoluzioni e giustificazioni per quanto non può essere assolto e giustificato.
Penso che sia comunque giusto ricercare e ristabilire la verità contro tutti i tentativi di
farne una storia di ininterrotti delitti, mentre fu storia drammatica, e anche gloriosa,
di un immenso sforzo di emancipazione umana.

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