domenica 29 agosto 2010

Storie Partigiane

I partigiani sovietici in Italia furorno circa quattromilacinquecento, oltre settecento nel solo Piemonte.
Arrivarono per lo più come prigionieri al seguito delle truppe tedesche ed in seguito combatterono al fianco dei partigiani italiani contro il nazifascismo.
Molti di questi ragazzi, alcuni senza nome, sono sepolti al Sacrario della Resistenza del Cimitero Monumentale di Torino.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                               http://archiviofoto.unita.it/slidefoto.php?pagina=1&noslide=1&url=tipo=FOTO%26xml=1%26list=1%26f2=recordid%26cod=210%26codset=STO%26stop=8                                                                                                                                

nella foto Fëdor Andrianovič Poletaev)
 Medaglia d'oro al valor militare










«Deportato russo in Italia, fuggito dal campo di concentramento tedesco dove era internato, per raggiungere le formazioni partigiane cui lo univa la stessa fede nei principi di libertà. Combattente esemplare per disciplina e per ardimento, durante un attacco in forze da parte del nemico, si portava, consapevolmente ma incurante del certo sacrificio della sua vita, con una pattuglia da lui comandata a tergo del grosso della formazione avversaria, aprendo il fuoco di sorpresa e intimando a viva voce la resa. Il nemico, sotto l'imprevisto e temerario attacco, si sbandava arrendendosi. Nell'epico episodio, che costò al nemico molto perdite e molti prigionieri e che capovolse le sorti della giornata, cadeva per l'ideale della libertà dei popoli.»
— Cantalupo Ligure, 2 febbraio 1945                                                                                                                                                                                                            

                                                                                                                                                                                      Nel mese di luglio del 1996 l'allora Presidente della Repubblica Scalfaro ha conferito una medaglia d'oro al valor militare alla memoria dell'ufficiale sovietico Danijl Avdeev Varfolomeevic, il "Comandante Daniel" che, nelle file della resistenza friulana, trovò la morte nel 1944 combattendo contro i nazisti nella zona di Clauzetto. La medaglia è stata consegnata, nel 1997, dall'Ambasciatore italiano a Mosca a una pronipote del Comandante Daniel.
Il riconoscimento ricorda emblematicamente uno degli episodi più significativi della lotta di liberazione in Friuli. Avdveev, nato nel 1917 in un piccolo villaggio russo, Noviki, era uno degli ufficiali di cavalleria dell'Armata sovietica che, nel 1942, combattevano sul fronte meridionale russo contro l'invasione nazista. Catturato prigioniero, venne trasferito in alcuni lager tedeschi (sull'Elba prima e nel nord della Francia poi), dove conobbe due delle persone che avrebbero condiviso la sua esperienza di lotta al nazismo: Alexandr Kopilkov e Anton Melniciuk. In momenti diversi, i tre riuscirono a fuggire dal lager e a ritrovarsi nella neutrale Svizzera.
Dopo alcune settimane decisero di partire per congiungersi ai partigiani italiani nella lotta contro il comune nemico. Fu un avventuroso viaggio a piedi, durato più di un mese, al termine del quale i tre arrivarono in Friuli e, il 24 maggio 1944, si aggregarono al battaglione garibaldino "Matteotti" che operava sulle montagne attorno al lago di Cavazzo.

http://www.fctp.it/movie_item.php?id=1460                                                                                                        








 I PARTIGIANI SOVIETICI IN VALSUSA







TESTIMONIANZA DI VITTORIO BLANDINO, COMANDANTE 113° BRIGATA GARIBALDI




"Mi è gradito e mi commuove ricordare agli amici dell’Associazione Russkij Mir di Torino il grande contributo dato dai sovietici alla lotta di Liberazione nel nostro Paese per sconfiggere quel mostro immondo che fu il nazi-fascismo.
Quelli che divennero i nostri indimenticabili compagni di lotta, i sovietici appunto, erano uomini fatti prigionieri in Russia dai Tedeschi, in gran parte erano georgiani, qualcuno anche di altre regioni. I tedeschi li adibivano a mansioni varie presso le stazioni ferroviarie della Valle di Susa. I più arditi e combattivi di loro fecero di tutto per cercare il contatto con le nostre formazioni; contattandoli fra mille rischi facilmente comprensibili, riuscimmo con tutte le dovute cautele a capire che la volontà di combattere tedeschi e fascisti era in loro molto sincera e forte. Io stesso, in prima persona, dopo dettagliati preparativi, riuscii a prelevarne alcune decine fra le varie stazioni ferroviarie e a condurli in montagna inserendoli nella nostra brigata, nonché nella 42° Brigata Garibaldi operante più in su nella vallata.
Erano decisi, coraggiosi, si inserirono magnificamente nelle nostre strutture militari. Raccontavano di quello che avevano passato di terribile in Unione Sovietica nella Grande Guerra Patriottica: le immani distruzioni, l’annientamento delle popolazioni da parte dei tedeschi, ligi all’ordine di Hitler di non fare prigionieri fra i sovietici, ma semplicemente di annientarli tutti, civili e militari. Basta ricordare che, degli oltre 50 milioni di caduti della Seconda Guerra Mondiale, quasi la metà (le cifre aggiornate parlano di circa 25 milioni) furono cittadini sovietici. I volti e, anche se non tutti ormai, i nomi di quelli che erano stati degli eroici combattenti che lottarono con noi per la liberazione del nostro Paese sono impressi nel mio cuore.
Ebbero modo di far veder il loro valore e il loro coraggio in battaglia, tanto che qualche volta, personalmente, fui anche costretto a richiamarli a una maggiore prudenza.






Di certo tutti noi li ammiravamo per il loro ardore, il non tirarsi mai indietro, nemmeno nelle situazioni più pericolose, l’offrirsi senza riserve come volontari quando accadeva di dover compiere azioni pericolosissime e non ci si poteva permettere di utilizzare uomini indecisi o comprensibilmente timorosi. L’amicizia e la fraternità divennero spontanee tra i nostri partigiani ed i sovietici.
Combatterono al limite delle loro forze, erano abilissimi cacciatori; la fame era tanta per tutti e quando riuscivano a catturare qualche pregiato animale di montagna, la prima cosa che facevano era quella di dividere, anche a costo di rimanere a stomaco vuoto, con i nostri partigiani italiani. Morirono anche con i nostri partigiani.
Tutti i sovietici della brigata parteciparono al gruppo formato da una cinquantina di uomini che portarono a segno la più grossa operazione di approvvigionamento di armi per tutte le formazioni della valle: quella compiuta all’aeronautica di Torino-Collegno nell’agosto del ’44. Mettemmo fuori uso tutti gli aeroplani da guerra ivi presenti e portammo in montagna oltre 240 mitragliatrici pesanti e centinaia di migliaia di colpi di munizioni. Radio Londra elogiò più volte il formidabile colpo all’Aeritalia e citò anche la partecipazione dei partigiani sovietici."                                                                                           






   Testimonianza resa nel 2005, estratta dal documentario







"Ruka ob Ruku - Partigiani sovietici nella Resistenza piemontese"


http://gasmulo.myblog.it/archive/2010/06/14/ciao-russi.html
                                                                                                                                                                 
Storie Partigiane





I RUSSI 






Il
cascinale dei Cervi era ritenuto da tutti gli antifascisti casa sicura.
Qui, come si è detto, riparavano antifascisti e soldati stranieri che
sfuggivano dalle maglie dei nazisti. Molto noto è il caso di Anatolij Tarassov (1921-1971),
prigioniero sovietico dei tedeschi che venne mandato dai campi di
prigionia dell’Est sino nel nord Italia, per lavorare come schiavo al
servizio delle difese naziste a ridosso del fronte alleato. Insieme a
Tarassov, che ha documentato la sua avventura in un libro (Sui monti d’Italia),
vi erano molti altri prigioneri di guerra russi, che in alcuni casi
riuscirono a fuggire. Tarassov riparò insieme al suo compagno, tenente
Victor Pirogov, in una casa di campagna, per poi essere indirizzato
nell’autunno del ’43 a Casa Cervi, dove conobbe l’intensa attività
antifascista della famiglia. Tarassov rimase affascinato dalla passione e
dalla sapienza contadina della famiglia, e non si sottrasse al lavoro
partigiano che i Cervi stavano tessendo insieme a pochi altri pionieri.

Anatolij Tarassov verrà catturato insieme ai Cervi la notte del 25
novembre 1943. Fuggirà poi dal carcere di Verona dove era stato
trasferito per unirsi ai suoi connazionali, rifugiati a Reggio e Modena,
e prendere parte in modo attivo alla Resistenza in montagna.
Nell’appennino modenese si costituirà un vero e proprio battaglione di
russi, nel quale Tarassov ricoprirà il ruolo di commissario politico, e
Pirogov (nome di battaglia “Modena”) ne comanderà le operazioni militari
nelle montagne reggiane. Tornato in patria verrà, come molti reduci, condannato al gulag, pagina della sua vita poco nota e studiata.Tarassov
rimarrà anche dopo la guerra in contatto con la famiglia Cervi portando
notizie in madrepatria dell’eroismo di questi contadini antifascisti, e
facendo da tramite con il governo dell’Unione Sovietica per il
conferimento di una onorificenza alla famiglia per l’aiuto fornito ai
soldati russi. Anche grazie al suo intervento, il libro di papà Cervi “I miei sette figli” fu tradotto in russo.Prima della partenza in montagna, arrviarono a casa Cervi anche il giovanissimo Misha Almakaièv, il suo compagno di fuga Nikolaj Armeiev e Alexander Aschenco. Victor Pirogov,
a casa Cervi noto col nome di 'Danilo', dopo l'esperienza coi fratelli
Cervi da vita, per ordine del comando partigiano, ad una brigata
composta da russi di cui è comandante col nome di 'Modena'. Il
Distaccamento garibaldino opera nel Ramisetano in provincia di Reggio
Emilia.Dopo la guerra non farà ritorno in URSS ed emigrerà in Argentina.Nicolàj Armeniev, detto ' il colcòsiano', era originario di Pènza. Farà parte anche lui del distaccamento garibaldino di russi comandato da 'Modena'.Cadrà il giorno della liberazione di Reggio Emilia.Alexandre Aschenco
fu fra i russi ospitati dai Cervi che, con la banda di questi, diedero
inizio alla guerriglia partigiana sulle montagne reggiane.Dopo
l'arresto del 25 novembre, passò al servizio della Brigata nera
denunciando molti degli antifascisti che l'avevano ospitato nei mesi di
latitanza. La sua conoscenza della rete che si stava creando attorno al
CLN gli permise di assestare duri colpi all'organizzazione clandestina
della bassa reggiana. Per questo suo tradimento verrà giustiziato dai
gappisti il 15 novembre del 1944 a Piazzale Fiume presso Reggio Emilia.

giovedì 26 agosto 2010

                                                                                      L'ingiustizia oggi cammina con passo sicuro.
Gli oppressori si fondano su diecimila anni.
La violenza garantisce: Com'è, così resterà.
Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda
e sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio.
Ma fra gli oppressi molti dicono ora:
quel che vogliamo, non verrà mai.
Chi ancora è vivo non dica: mai!
Quel che è sicuro non è sicuro.
Com'è, così non resterà.
Quando chi comanda avrà parlato,
parleranno i comandati.
Chi osa dire: mai?
A chi si deve, se dura l'oppressione? A noi.
A chi si deve, se sarà spezzata? Sempre a noi.
Chi viene abbattuto, si alzi!
Chi è perduto, combatta!
Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare?
Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani
e il mai diventa: oggi











(B. Brecht)


domenica 22 agosto 2010

Ci dobbiamo sforzare di costruire uno Stato in cui gli operai mantengano la loro direzione sui contadini, godano della fiducia dei contadini e con la più grande economia eliminino dai rapporti sociali ogni traccia di sperpero. Dobbiamo ridurre il nostro apparato statale in modo dafare la massima economia. Dobbiamo eliminare ogni traccia di quello che la Russia zarista ed il suo apparato burocratico e capitalistico ha lasciato in così larga misura in eredità al nostro apparato. Non sarà questo il regno della grettezza contadina ?
No. Se la classe operaia continuerà a dirigere i contadini, avremo la possibilità, gestendo il nostro Stato con la massima economia, di far sì che ogni più piccolo risparmio serva a sviluppare la nostra industria meccanica, a sviluppare l'elettrificazione, l'estrazione idraulica della torba, a condurre a termine la centrale elettrica del Volkhov, ecc. Questa e solo questa è lanostra speranza. Solo allora, per dirla con una metafora, saremo in grado di passare da un cavallo all'altro, e precisamente dalla povera rozza contadina del mugik, dal ronzino dell'economia, adatto a un paese contadino rovinato, al cavallo che il proletariato cerca e non può non cercare per sé, al cavallo della grande industria meccanica, dell'elettrificazione, della centrale elettrica del Volkhov, ecc..(da "Meglio meno, ma meglio" Lenin 1923)