«L’impazienza esige l’impossibile, cioè il raggiungimento del fine ma senza i mezzi» (Hegel)
lunedì 27 dicembre 2010
sabato 25 dicembre 2010
mercoledì 22 dicembre 2010
lunedì 20 dicembre 2010
giovedì 2 dicembre 2010
...qui non ha importanza il mio problema, la mia vicenda, la mia casa, la mia macchinetta etc… qui il problema è il mondo in cui stiamo, che ci è stato tolto da qualcuno, c’è un meccanismo che ce lo ha tolto, ce lo ha reso estraneo, ce lo ha reso nemico, è contro questo meccanismo che dobbiamo muoverci, per recuperare umanità..
lunedì 29 novembre 2010
domenica 28 novembre 2010
sabato 27 novembre 2010
mercoledì 17 novembre 2010
...si tatta di un nuovo umanesimo. Ovvero, l’umanesimo dell’uomo vivente in quanto soggetto, di contro alla riduzione dell’umanesimo borghese all’umansimo del proprietario nel quadro del mercato, il quale ha ben presto la tendenza a riconoscere quale unico diritto umano: quello alla proprietà - Franz Hinkelammert - Marxistische Blatter - trad. Stefano Garroni -
domenica 14 novembre 2010
mercoledì 10 novembre 2010
martedì 9 novembre 2010
lunedì 8 novembre 2010
domenica 7 novembre 2010
sabato 6 novembre 2010
venerdì 5 novembre 2010
giovedì 4 novembre 2010
mercoledì 3 novembre 2010
domenica 31 ottobre 2010
sabato 30 ottobre 2010
giovedì 28 ottobre 2010
Il vero nemico pubblicata da Storie Partigiane
Il vero nemico
lunedì 25 ottobre 2010
giovedì 21 ottobre 2010
martedì 19 ottobre 2010
martedì 12 ottobre 2010
domenica 10 ottobre 2010
martedì 5 ottobre 2010
Il ruolo della Cina nella crisi attuale dell'economia mondiale - proteo -
domenica 3 ottobre 2010
bella frase:
giovedì 30 settembre 2010
martedì 28 settembre 2010
domenica 26 settembre 2010
philosophie... H. H. Holz
sabato 25 settembre 2010
Venezuela... verso il socialismo?...
venerdì 24 settembre 2010
martedì 21 settembre 2010
lunedì 20 settembre 2010
sabato 18 settembre 2010
venerdì 17 settembre 2010
martedì 14 settembre 2010
domenica 12 settembre 2010
sabato 11 settembre 2010
venerdì 10 settembre 2010
mercoledì 8 settembre 2010
domenica 5 settembre 2010
Sull' URSS
di Marcello Grassi
A proposito di storia sovietica importanti contributi sono venuti dai seguenti
storici anglosassoni, docenti di prestigiose università, che hanno attinto alle fonti
documentarie, accessibili dopo la perestroika e il crollo dell’URSS.
Ho letto con qualche fatica in inglese i seguenti volumi e articoli.
S. Fitzpatrick The cultural front. Power and revolutionary Russia Cornell University
Press 1992
S. Fitzpatrick Educational level and social mobility in Soviet Union 1921-1934
Cambridge University Press 1979
J A Getty Origin of great purges: the soviet communist party reconsidered 1933-
1938 Cambridge University Press 1999
J A Getty R T Manning Stalinist terror: new perspectives Cambridge University
Press 1993
S G Wheatcroft Toward explaining the changing levels of Stalinist repression in
1930s. mass killing Europe-Asia studies 51;113-145.1999
S G Wheatcroft Victims of Stalinism and the Soviet Secret Police. The comparability
and reliability of archival data. Not the last word Europe-Asia Studies 51; 515-545,
1999
R W Davies M Harrison, S G Wheatcroft The economic transformation in Soviet
Union 1914-1945 Cambridge University Press 1994
Poiché è mia abitudine documentarmi in modo imparziale aggiungo che ho letto i
seguenti libri sulle vicende sovietiche di vittime delle repressioni o di autori anti
sovietici o di oppositori di Stalin:
L’arcipelago gulag di Solzhenitzin, Il grande terrore di R.Conquest, Lo Stalinismo
di R. Medvedev, Il lungo terrore di F. Bettanin, L’epoca e i lupi di N. Mandelstam,
Ho amato Bucharin di Anna Larina, moglie di Bucharin, Il redivivo tiburtino di D.
Corneli, Viaggio nella vertigine di Natalia Ginsburg. Ho letto anche la biografia di
Bucharin di Stephen Cohen e buona parte delle opere di Trotzki, in particolare La
mia vita, La rivoluzione tradita, Storia della rivoluzione russa.
Va precisato che le opere di Conquest, Medvedev, Bettanin e Solzhenitsin sono
state scritte e pubblicate prima dell’apertura degli archivi dello stato sovietico e in
particolare degli organi giudiziari e del KGB, responsabili della repressione e delle
condanne degli oppositori veri o presunti del regime; esse, soltanto per questo, sono
largamente inattendibili, in quanto non fondate su adeguata documentazione.
lunedì 30 agosto 2010
domenica 29 agosto 2010
Storie Partigiane
I partigiani sovietici in Italia furorno circa quattromilacinquecento, oltre settecento nel solo Piemonte.
Arrivarono per lo più come prigionieri al seguito delle truppe tedesche ed in seguito combatterono al fianco dei partigiani italiani contro il nazifascismo.
Molti di questi ragazzi, alcuni senza nome, sono sepolti al Sacrario della Resistenza del Cimitero Monumentale di Torino.
http://archiviofoto.unita.it/slidefoto.php?pagina=1&noslide=1&url=tipo=FOTO%26xml=1%26list=1%26f2=recordid%26cod=210%26codset=STO%26stop=8
nella foto Fëdor Andrianovič Poletaev)
Medaglia d'oro al valor militare
«Deportato russo in Italia, fuggito dal campo di concentramento tedesco dove era internato, per raggiungere le formazioni partigiane cui lo univa la stessa fede nei principi di libertà. Combattente esemplare per disciplina e per ardimento, durante un attacco in forze da parte del nemico, si portava, consapevolmente ma incurante del certo sacrificio della sua vita, con una pattuglia da lui comandata a tergo del grosso della formazione avversaria, aprendo il fuoco di sorpresa e intimando a viva voce la resa. Il nemico, sotto l'imprevisto e temerario attacco, si sbandava arrendendosi. Nell'epico episodio, che costò al nemico molto perdite e molti prigionieri e che capovolse le sorti della giornata, cadeva per l'ideale della libertà dei popoli.»— Cantalupo Ligure, 2 febbraio 1945
«Deportato russo in Italia, fuggito dal campo di concentramento tedesco dove era internato, per raggiungere le formazioni partigiane cui lo univa la stessa fede nei principi di libertà. Combattente esemplare per disciplina e per ardimento, durante un attacco in forze da parte del nemico, si portava, consapevolmente ma incurante del certo sacrificio della sua vita, con una pattuglia da lui comandata a tergo del grosso della formazione avversaria, aprendo il fuoco di sorpresa e intimando a viva voce la resa. Il nemico, sotto l'imprevisto e temerario attacco, si sbandava arrendendosi. Nell'epico episodio, che costò al nemico molto perdite e molti prigionieri e che capovolse le sorti della giornata, cadeva per l'ideale della libertà dei popoli.»
Nel mese di luglio del 1996 l'allora Presidente della Repubblica Scalfaro ha conferito una medaglia d'oro al valor militare alla memoria dell'ufficiale sovietico Danijl Avdeev Varfolomeevic, il "Comandante Daniel" che, nelle file della resistenza friulana, trovò la morte nel 1944 combattendo contro i nazisti nella zona di Clauzetto. La medaglia è stata consegnata, nel 1997, dall'Ambasciatore italiano a Mosca a una pronipote del Comandante Daniel.
Il riconoscimento ricorda emblematicamente uno degli episodi più significativi della lotta di liberazione in Friuli. Avdveev, nato nel 1917 in un piccolo villaggio russo, Noviki, era uno degli ufficiali di cavalleria dell'Armata sovietica che, nel 1942, combattevano sul fronte meridionale russo contro l'invasione nazista. Catturato prigioniero, venne trasferito in alcuni lager tedeschi (sull'Elba prima e nel nord della Francia poi), dove conobbe due delle persone che avrebbero condiviso la sua esperienza di lotta al nazismo: Alexandr Kopilkov e Anton Melniciuk. In momenti diversi, i tre riuscirono a fuggire dal lager e a ritrovarsi nella neutrale Svizzera.
Dopo alcune settimane decisero di partire per congiungersi ai partigiani italiani nella lotta contro il comune nemico. Fu un avventuroso viaggio a piedi, durato più di un mese, al termine del quale i tre arrivarono in Friuli e, il 24 maggio 1944, si aggregarono al battaglione garibaldino "Matteotti" che operava sulle montagne attorno al lago di Cavazzo.
http://www.fctp.it/movie_item.php?id=1460
I PARTIGIANI SOVIETICI IN VALSUSA
TESTIMONIANZA DI VITTORIO BLANDINO, COMANDANTE 113° BRIGATA GARIBALDI
"Mi è gradito e mi commuove ricordare agli amici dell’Associazione Russkij Mir di Torino il grande contributo dato dai sovietici alla lotta di Liberazione nel nostro Paese per sconfiggere quel mostro immondo che fu il nazi-fascismo.
Quelli che divennero i nostri indimenticabili compagni di lotta, i sovietici appunto, erano uomini fatti prigionieri in Russia dai Tedeschi, in gran parte erano georgiani, qualcuno anche di altre regioni. I tedeschi li adibivano a mansioni varie presso le stazioni ferroviarie della Valle di Susa. I più arditi e combattivi di loro fecero di tutto per cercare il contatto con le nostre formazioni; contattandoli fra mille rischi facilmente comprensibili, riuscimmo con tutte le dovute cautele a capire che la volontà di combattere tedeschi e fascisti era in loro molto sincera e forte. Io stesso, in prima persona, dopo dettagliati preparativi, riuscii a prelevarne alcune decine fra le varie stazioni ferroviarie e a condurli in montagna inserendoli nella nostra brigata, nonché nella 42° Brigata Garibaldi operante più in su nella vallata.
Erano decisi, coraggiosi, si inserirono magnificamente nelle nostre strutture militari. Raccontavano di quello che avevano passato di terribile in Unione Sovietica nella Grande Guerra Patriottica: le immani distruzioni, l’annientamento delle popolazioni da parte dei tedeschi, ligi all’ordine di Hitler di non fare prigionieri fra i sovietici, ma semplicemente di annientarli tutti, civili e militari. Basta ricordare che, degli oltre 50 milioni di caduti della Seconda Guerra Mondiale, quasi la metà (le cifre aggiornate parlano di circa 25 milioni) furono cittadini sovietici. I volti e, anche se non tutti ormai, i nomi di quelli che erano stati degli eroici combattenti che lottarono con noi per la liberazione del nostro Paese sono impressi nel mio cuore.
Ebbero modo di far veder il loro valore e il loro coraggio in battaglia, tanto che qualche volta, personalmente, fui anche costretto a richiamarli a una maggiore prudenza.
Di certo tutti noi li ammiravamo per il loro ardore, il non tirarsi mai indietro, nemmeno nelle situazioni più pericolose, l’offrirsi senza riserve come volontari quando accadeva di dover compiere azioni pericolosissime e non ci si poteva permettere di utilizzare uomini indecisi o comprensibilmente timorosi. L’amicizia e la fraternità divennero spontanee tra i nostri partigiani ed i sovietici.Combatterono al limite delle loro forze, erano abilissimi cacciatori; la fame era tanta per tutti e quando riuscivano a catturare qualche pregiato animale di montagna, la prima cosa che facevano era quella di dividere, anche a costo di rimanere a stomaco vuoto, con i nostri partigiani italiani. Morirono anche con i nostri partigiani.Tutti i sovietici della brigata parteciparono al gruppo formato da una cinquantina di uomini che portarono a segno la più grossa operazione di approvvigionamento di armi per tutte le formazioni della valle: quella compiuta all’aeronautica di Torino-Collegno nell’agosto del ’44. Mettemmo fuori uso tutti gli aeroplani da guerra ivi presenti e portammo in montagna oltre 240 mitragliatrici pesanti e centinaia di migliaia di colpi di munizioni. Radio Londra elogiò più volte il formidabile colpo all’Aeritalia e citò anche la partecipazione dei partigiani sovietici."
Testimonianza resa nel 2005, estratta dal documentario
"Ruka ob Ruku - Partigiani sovietici nella Resistenza piemontese"
http://gasmulo.myblog.it/archive/2010/06/14/ciao-russi.html
Storie Partigiane
I RUSSI
Il
cascinale dei Cervi era ritenuto da tutti gli antifascisti casa sicura.
Qui, come si è detto, riparavano antifascisti e soldati stranieri che
sfuggivano dalle maglie dei nazisti. Molto noto è il caso di Anatolij Tarassov (1921-1971),
prigioniero sovietico dei tedeschi che venne mandato dai campi di
prigionia dell’Est sino nel nord Italia, per lavorare come schiavo al
servizio delle difese naziste a ridosso del fronte alleato. Insieme a
Tarassov, che ha documentato la sua avventura in un libro (Sui monti d’Italia),
vi erano molti altri prigioneri di guerra russi, che in alcuni casi
riuscirono a fuggire. Tarassov riparò insieme al suo compagno, tenente
Victor Pirogov, in una casa di campagna, per poi essere indirizzato
nell’autunno del ’43 a Casa Cervi, dove conobbe l’intensa attività
antifascista della famiglia. Tarassov rimase affascinato dalla passione e
dalla sapienza contadina della famiglia, e non si sottrasse al lavoro
partigiano che i Cervi stavano tessendo insieme a pochi altri pionieri.
Anatolij Tarassov verrà catturato insieme ai Cervi la notte del 25
novembre 1943. Fuggirà poi dal carcere di Verona dove era stato
trasferito per unirsi ai suoi connazionali, rifugiati a Reggio e Modena,
e prendere parte in modo attivo alla Resistenza in montagna.
Nell’appennino modenese si costituirà un vero e proprio battaglione di
russi, nel quale Tarassov ricoprirà il ruolo di commissario politico, e
Pirogov (nome di battaglia “Modena”) ne comanderà le operazioni militari
nelle montagne reggiane. Tornato in patria verrà, come molti reduci, condannato al gulag, pagina della sua vita poco nota e studiata.Tarassov
rimarrà anche dopo la guerra in contatto con la famiglia Cervi portando
notizie in madrepatria dell’eroismo di questi contadini antifascisti, e
facendo da tramite con il governo dell’Unione Sovietica per il
conferimento di una onorificenza alla famiglia per l’aiuto fornito ai
soldati russi. Anche grazie al suo intervento, il libro di papà Cervi “I miei sette figli” fu tradotto in russo.Prima della partenza in montagna, arrviarono a casa Cervi anche il giovanissimo Misha Almakaièv, il suo compagno di fuga Nikolaj Armeiev e Alexander Aschenco. Victor Pirogov,
a casa Cervi noto col nome di 'Danilo', dopo l'esperienza coi fratelli
Cervi da vita, per ordine del comando partigiano, ad una brigata
composta da russi di cui è comandante col nome di 'Modena'. Il
Distaccamento garibaldino opera nel Ramisetano in provincia di Reggio
Emilia.Dopo la guerra non farà ritorno in URSS ed emigrerà in Argentina.Nicolàj Armeniev, detto ' il colcòsiano', era originario di Pènza. Farà parte anche lui del distaccamento garibaldino di russi comandato da 'Modena'.Cadrà il giorno della liberazione di Reggio Emilia.Alexandre Aschenco
fu fra i russi ospitati dai Cervi che, con la banda di questi, diedero
inizio alla guerriglia partigiana sulle montagne reggiane.Dopo
l'arresto del 25 novembre, passò al servizio della Brigata nera
denunciando molti degli antifascisti che l'avevano ospitato nei mesi di
latitanza. La sua conoscenza della rete che si stava creando attorno al
CLN gli permise di assestare duri colpi all'organizzazione clandestina
della bassa reggiana. Per questo suo tradimento verrà giustiziato dai
gappisti il 15 novembre del 1944 a Piazzale Fiume presso Reggio Emilia.
cascinale dei Cervi era ritenuto da tutti gli antifascisti casa sicura.
Qui, come si è detto, riparavano antifascisti e soldati stranieri che
sfuggivano dalle maglie dei nazisti. Molto noto è il caso di Anatolij Tarassov (1921-1971),
prigioniero sovietico dei tedeschi che venne mandato dai campi di
prigionia dell’Est sino nel nord Italia, per lavorare come schiavo al
servizio delle difese naziste a ridosso del fronte alleato. Insieme a
Tarassov, che ha documentato la sua avventura in un libro (Sui monti d’Italia),
vi erano molti altri prigioneri di guerra russi, che in alcuni casi
riuscirono a fuggire. Tarassov riparò insieme al suo compagno, tenente
Victor Pirogov, in una casa di campagna, per poi essere indirizzato
nell’autunno del ’43 a Casa Cervi, dove conobbe l’intensa attività
antifascista della famiglia. Tarassov rimase affascinato dalla passione e
dalla sapienza contadina della famiglia, e non si sottrasse al lavoro
partigiano che i Cervi stavano tessendo insieme a pochi altri pionieri.
Anatolij Tarassov verrà catturato insieme ai Cervi la notte del 25
novembre 1943. Fuggirà poi dal carcere di Verona dove era stato
trasferito per unirsi ai suoi connazionali, rifugiati a Reggio e Modena,
e prendere parte in modo attivo alla Resistenza in montagna.
Nell’appennino modenese si costituirà un vero e proprio battaglione di
russi, nel quale Tarassov ricoprirà il ruolo di commissario politico, e
Pirogov (nome di battaglia “Modena”) ne comanderà le operazioni militari
nelle montagne reggiane. Tornato in patria verrà, come molti reduci, condannato al gulag, pagina della sua vita poco nota e studiata.Tarassov
rimarrà anche dopo la guerra in contatto con la famiglia Cervi portando
notizie in madrepatria dell’eroismo di questi contadini antifascisti, e
facendo da tramite con il governo dell’Unione Sovietica per il
conferimento di una onorificenza alla famiglia per l’aiuto fornito ai
soldati russi. Anche grazie al suo intervento, il libro di papà Cervi “I miei sette figli” fu tradotto in russo.Prima della partenza in montagna, arrviarono a casa Cervi anche il giovanissimo Misha Almakaièv, il suo compagno di fuga Nikolaj Armeiev e Alexander Aschenco. Victor Pirogov,
a casa Cervi noto col nome di 'Danilo', dopo l'esperienza coi fratelli
Cervi da vita, per ordine del comando partigiano, ad una brigata
composta da russi di cui è comandante col nome di 'Modena'. Il
Distaccamento garibaldino opera nel Ramisetano in provincia di Reggio
Emilia.Dopo la guerra non farà ritorno in URSS ed emigrerà in Argentina.Nicolàj Armeniev, detto ' il colcòsiano', era originario di Pènza. Farà parte anche lui del distaccamento garibaldino di russi comandato da 'Modena'.Cadrà il giorno della liberazione di Reggio Emilia.Alexandre Aschenco
fu fra i russi ospitati dai Cervi che, con la banda di questi, diedero
inizio alla guerriglia partigiana sulle montagne reggiane.Dopo
l'arresto del 25 novembre, passò al servizio della Brigata nera
denunciando molti degli antifascisti che l'avevano ospitato nei mesi di
latitanza. La sua conoscenza della rete che si stava creando attorno al
CLN gli permise di assestare duri colpi all'organizzazione clandestina
della bassa reggiana. Per questo suo tradimento verrà giustiziato dai
gappisti il 15 novembre del 1944 a Piazzale Fiume presso Reggio Emilia.
sabato 28 agosto 2010
giovedì 26 agosto 2010
La violenza garantisce: Com'è, così resterà.
Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda
e sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio.
Ma fra gli oppressi molti dicono ora:
quel che vogliamo, non verrà mai.
Chi ancora è vivo non dica: mai!
Quel che è sicuro non è sicuro.
Com'è, così non resterà.
Quando chi comanda avrà parlato,
parleranno i comandati.
Chi osa dire: mai?
A chi si deve, se dura l'oppressione? A noi.
A chi si deve, se sarà spezzata? Sempre a noi.
Chi viene abbattuto, si alzi!
Chi è perduto, combatta!
Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare?
Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani
e il mai diventa: oggi
domenica 22 agosto 2010
mercoledì 18 agosto 2010
venerdì 13 agosto 2010
giovedì 12 agosto 2010
lunedì 2 agosto 2010
martedì 27 luglio 2010
domenica 25 luglio 2010
martedì 6 luglio 2010
domenica 4 luglio 2010
mercoledì 30 giugno 2010
Cari Compagni,
sì, Compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino “cum panis” che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze. È molto più bello Compagni che “Camerata” come si nominano coloro che frequentano stesso luogo per dormire, e anche di “Commilitone” che sono i compagni d’arme.
Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame ma anche, insieme, vissuto il pane della libertà che è il più difficile da conquistare e mantenere. Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell’esistere e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione.
All’erta Compagni! Non è il tempo di riprendere in mano un’arma ma di non disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza. Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite. Altri sono i problemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo egoisticamente per noi, ma anche per tutti i cittadini. Così nei diritti fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.
Vi giunga il mio saluto, Compagni dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e Resistenza sempre. Vostro Mario Rigoni Stern Mira (Venezia) 20 gennaio 2007
Di : Rigoni Stern, Mario
mercoledì 30 Giugno 2010
domenica 27 giugno 2010
Cina
venerdì 25 giugno 2010
mercoledì 16 giugno 2010
sabato 12 giugno 2010
mah!!!
"socialismo in un Paese solo", copertura della volontà stalinista di preservare l'isolamento della rivoluzione russa per salvaguardare gli interessi anti-operai della burocrazia.
giovedì 10 giugno 2010
I Fisiocratici
Questa concezione della natura -non come
Né ovviamente è casuale che il personaggio da tutti riconosciuto come il più significativo tra i Fisiocratici –intendo, com’è chiaro, François Quesnay (1694 – 1774)- sia autore non solo di scritti economici, ma anche di pagine, dichiaratamente interne alla tradizione giusnaturalistica: nel suo numero di settembre del 1765, infatti, il “Journal d’agricolture” pubblicava l’articolo, appunto di Quesnay, intitolato Le Droit Naturel. [5]
In generale (vaguement), osserva Quesnay iniziando il suo scritto, ogni uomo ha “diritto naturale (droit naturel)” a tutto ciò, che serve alla sua jouissance. [6]
Dunque, nella prospettiva del nostro autore, vale un nesso fondamentale (essenziale, si potrebbe dire) fra droit naturel e jouissance: - vale la pena sottolinearlo questo nesso, dacché serve, per un lato, a far risaltare il carattere nettamente fisico, immediato, ‘patologico’ della semantica di
Le due pagine -di Quesnay e di Rousseau- sono certamente accostabili; addirittura son complementari –nel senso che entrambe si inscrivono all’interno d’uno stesso pensiero.
Il diritto è naturale, non solo perché non è fondato dalla società, (sì piuttosto è la società che si basa su di esso); ma, ancora, perché naturale ne è la materia, l’oggetto a cui il diritto rivolge la sua attenzione ed, ancora, naturale è la richiesta (di jouissance), che esso punta a soddisfare.
In questo contesto, la proprietà privata è anch’essa naturale, perché (a) obiettivazione del lavoro svolto, (b) segno esteriore che la personalità è presente, (c) garanzia oggettiva che il soggetto è ancorato nel mondo.
Con la serie droit naturel/jouissance/proprié
Che la catena droit naturel/jouissance, porti con sé implicitamente anche altre connessioni semantiche –più specificate socialmente e storicamente- ce lo prova J. J. Rousseau, il quale - nell’articolo Économie politique (1755)- scrive: “bisogna ... ricordare che il fondamento del patto sociale è la proprietà e che la sua prima condizione è che ognuno sia mantenuto nel pacifico godimento (jouissance) di ciò che gli appartiene.”; “infatti, essendo tutti i diritti civili fondati su quello di proprietà, non appena quest’ultimo è abolito nessun altro può sussistere. La giustizia non sarà che una chimera e il governo una tirannide e, non avendo l’autorità pubblica alcun fondamento legittimo, nessuno sarà tenuto a riconoscerla, se non in quanto vi sia costretto con la forza.”. [7]
Questo paradosso corrisponde ad una posizione largamente diffusa tra Cinque e Settecento, la quale si oppone ad un altro modo di tematizzare il
J. Locke (1632-1704) –scrive Sabine- “ha mischiato tra loro due punti di vista incompatibili: secondo il primo punto di vista, tanto gli individui quanto le istituzioni compiono un'opera socialmente utile, regolata dal governo per il bene di tutti e nel quadro della legge che fa del gruppo una comunità: questo (è un) punto di vista, che Locke aveva ricevuto dalla tradizione medievale giuntagli attraverso Hooker (1553-1600) [8] … Il secondo punto di vista, elaborato da Hobbes (1588-1679), concepisce invece la società come un insieme di persone che agiscono per moventi egoistici, che guardano alla legge ed al governo per la loro sicurezza di fronte a compagni egualmente egoisti, e che mirano alla maggiore quantità di bene privato compatibile col mantenimento della pace.” [9]
Ancora, sottolinea lo studioso moderno W. Euchner, J. Locke "non ha mai consapevolmente posto in dubbio l'esistenza di norme create da dio, naturali, conoscibili dagli uomini” [10]; e da parte sua il francese J. Polin scrive che: “ la religion de Locke est d'abord la foi dans un ordre morale e physique immenent au monde. C'est pourqoi sa pensée se situe si aisèment en continuitè avec la pensée antique, avec le cosmos d'Aristote, ou avec le cosmos des Stoiciens. C'est l'ordre qui est supreme, et dans les oeuvres des hommes, c'est aussi l'ordre qui doit l'etre, et par la loi.” [11]
Le due linee, che Sabine indicava come l’una di Locke e l’altra di Hobbes [12], si differenziano alla radice per il diverso rapporto, che ognuna stabilisce fra ragione e dignità umana.
La linea à la Locke identifica sostanzialmente dignità umana e partecipazione alla ragione; conseguentemente, tende a risolvere nella vita sociale la partita della moralità e tende a considerare la socialità come esaltazione ed arricchimento della dignità dell’uomo.
La linea à la Hobbes, invece,
1 - Il fatto è –come vedremo- che il termine
2 - Naturalmente è di grande interesse –a questo punto- ricordare la critica, che alla concezione della causalità, muove nel Settecento lo scozzese D. Hume, appunto centrata sulla denuncia dell’oscurità semantica di termini come potere, forza, energia creativa, quando il problema sia render chiari processi reali, obiettivi.
3 - Mi riferisco alla nota situazione: quando intendo ricostruire la storia di un termine, di un tema, di un problema, certamente posso riuscire con successo nel mio scopo e tracciare, dunque, effettivamente ‘la storia’ di quel termine, tema o problema. Senonchè (cosa che, certo, non meraviglierebbe Sesto Empirico), sicuramente è dimostrabile che anche un’altra e un’altra ancora potrebbe esser proposta come storia di quel termine, tema o problema. Qui ci imbattiamo nel tema del rapporto fra storia umana e possibile: ovviamente non lo affrontiamo; limitiamoci ad una osservazione. L’unico senso che determinare, determinazione e simili possono avere in sede di scienze morali (o almeno il più frequente) è, probabilmente, questo: poste le condizioni C, C’, C” …, può determinarsi la situazione S, dalla quale –mancando impedimenti sufficientemente forti- è altamente probabile che derivi la necessità N.
4 - Come vedremo, fa problema determinare cosa intendessero esattamente i Fisiocratici, quando dicevano
5 - La nozione di legge di natura gioca un importante ruolo anche per l’estetica settecentesca (cf. E. Fubini, Gli Enciclopedisti e la musica, Torino 1991.
6- Jouissance è termine, che sta a dire
7 - E’ interessante ricordare come solo qualche decennio dopo, nel 1819, il nesso jouissance/proprietà privata risultasse, oramai, ben più problematico. Nei sui Nouveaux principles d’économie politique , Sismondi (1773–1842) sottolinea il nesso tra capitalismo, immiserimento morale, polarizzazione di ricchezza e miseria. In definitiva, Sismondi sottolineava come lo sviluppo di questo sistema produttivo, se accresce il godimento (jouissance), lo fa solo relativamente ai beni materiali ed, inoltre, accrescendo, da un lato, la ricchezza, dall’altro, la miseria. Conseguenze di tutto ciò, sottolinea ancora Sismondi, crisi e disoccupazione.
8 - "Rivelatrice è in Hooker l'assenza di una dottrina del contratto sociale: alla base della sua concezione politica troviamo piuttosto l'idea
9 - G. Bedeschi, “Società naturale e società civile nella filosofia politica di Locke”, in J. Locke, Saggi sulla legge naturale, Bari 1973: XXV-XXVI.
10 - cf. J. Locke, Saggi sulla legge naturale, op. cit.: XXVIII.
11 - ivi: XXVII.
12 - "Locke. . . concepì i rapporti di famiglia e di proprietà sul fondamento non della legge civile, ma della legge di natura. Mentre il Grozio e l'Hobbes. . . invocarono la natura per negare la possibilità di costruire su di essa un qualsiasi ordinamento giuridico e, mediante il patto, crearono l'ordine civile come ordine superiore di ragione contrapposto o sovrapposto all'ordine originario di natura, dominato dagli istinti e dagli appetiti, il Locke nega, almeno teoricamente, il dualismo tra ragione e senso, tra stato di natura e stato civile: la natura è essa stessa ragione, o meglio va intesa e interpretata razionalmente, per cui lo stato civile non sarebbe che lo stato naturale alla luce di una sana e illuminata ragione." (G. Solari, La filosofia politica. II. Da Kant a Comte, Bari 1974: 252-3). Su Locke, cf. anche J.W. Yolton, John Locke, Il Mulino 1990.
13 - Quasi a calco di questa distinzione possiamo operarne un’altra. Conosciamo storicamente due modi di tematizzare il moderno concetto di persona, in entrambi i casi facendone momento essenziale di un orientamento morale. Secondo il primo modo, la persona è depositaria di dignità a prescindere dalla sua appartenenza al gruppo sociale (che, ovviamente, può estendersi all’umanità tutta). Secondo l’altro, invece, è proprio quell’appartenenza, che dota l’individuo di valore, elevandolo a persona. Rispetto a questa problematica è utilissimo Hegel, il quale –per fare un solo esempio-, nei suoi Grundlinien der Philosophie des Rechts oder Naturrecht und Staatswissenschaft in Grundrisse, §. 25, così ironizza contro la prima concezione della persona in nome della seconda: Il mèro io, che poggia astrattamente su se stesso, la pura certezza di sé, distinta dalla verità.
Bibliografia:
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Sismondi, J-C-L. Simonde, Nouveaux principes d’économie politique, Paris 1971.
Appendice 1.
Storia del termine
“Il termine «economia» deriva da Aristotele. Essa significa scienza riguardante le leggi dell'economia domestica … L'espressione
Conside¬riamo le espressioni economia politica e economia sociale come sinonimi.
Talvolta l' economia politica viene definita anche come la scienza dell’economia sociale... In Francia, in base alla tradizione iniziata nel 16I5 dal Montchrétien, il termine economia politica fu ed è ancor oggi universalmente adottato [14]...Il termine
Dalla tradizione anglo-francese deriva appunto il termine econo¬mia politica, accolto da Marx ed Engels per la scienza che studia le leggi sociali di produzione e distribuzione dei beni; per cui Marx definì talvolta la sua opera corne critica dell'economia politica, cioè critica delle dottrine dell'economia politica classica. Da allora, il ter¬mine economia politica è impiegato universalmente nella letteratura marxista. Fa eccezione Rosa Luxemburg, la quale nelle sue lezioni di economia politica parla di scienza dell' economia nazionale (National¬ökonomie). E’ quest'ultimo il termine che, a partire dalla seconda metà del se¬colo XIX, si acquistò diritto di cittadinanza nella scienza ufficiale tede¬sca (Nationalökonomie, Volkswirtschaltslehre). Esso esprime la valuta¬zione specifica del ruolo della nazione, come fattore economico, da parte della cosiddetta scuola storica, la quale rappresentava l'indirizzo predo¬minante nella scienza ufficiale tedesca. E’ da notare che questo termine fu impiegato per la prima volta dal monaco veneziano Gian Maria Ortes nell'opera uscita nel 1774 col titolo Della economia nazionale... Da quando Alfried Marshall intitolò la sua opera, apparsa nel 1890, Principles of Economics, il termine
14 - Anche J-B. Say usa il termine economia politica, intesa come il modo atto a produrre, distribuire e consumare la ricchezza (Kremm, 5641: 22s). Anche Senior e J. S. Mill usano
Stefano Garroni