lunedì 16 aprile 2012

Un interessante articolo... un punto di vista (legittimo) da prendere in considerazione e col quale confrontarsi per un superamento reale delle divisioni interne che affliggono il movimento comunista in una situazione economica mondiale di gravissima crisi del capitalismo che apre prospettive irripetibili per il suo superamento...

IL PARTITO COMUNISTA (MARXISTA) D’INDIA : DIFENSORE DI STALIN E DELLA RESTAURAZIONE CAPITALISTICA

Di Despal Jayaskera
6 aprile 2012


Per la prima volta dal 1992, il gruppo dirigente del Partito Comunista  d’India (marxista) – il più grande partito stalinista indiano rappresentato  in parlamento e alleato dominante nella coalizione parlamentare/elettorale del Fronte della Sinistra-  ha presentato una risoluzione di carattere ideologico al proprio congresso nazionale.

La precedente risoluzione fu rilasciata in occasione del crollo dei regimi stalinisti in Europa dell’Est  e della dissoluzione dell’Unione Sovietica – in seguito alla fine degli stati burocratico-polizieschi  che il Partito Comunista d’India (Marxista) aveva sempre esaltato  come “il vero socialismo, l’unico realmente esistente”.

Intitolata “Bozza di  risoluzione su alcune scelte ideologiche” la risoluzione ideologica” che verrà sottoposta  questa settimana al 20° Congresso è stata similmente concepita come  risposta alla grande crisi (del capitalismo, ndt)


In contrasto con molti partiti stalinisti fratelli, che scomparvero o si ridussero a dimensioni insignificanti  dopo il tramonto dell’Unione Sovietica,  il CPM  guadagnò invece nuova importanza nella politica della borghesia indiana nel 1990 e durante la prima decade del secolo attuale. Il partito ha giocato un ruolo di primo piano nella creazione e  nel sostegno alla coalizione nazionale di governo  che ha lanciato  la “nuova politica economica”borghese volta a fare dell’India  un luogo privilegiato per gli investitori stranieri e un fornitore di forza lavoro a basso costo  per il capitalismo mondiale. Dal maggio 2004 fino al luglio 2008, il Fronte della sinistra, guidato dal CPM, ha sostenuto l’attuale Unione Progressista, capeggiata  dal Partito del Congresso, con la sua maggioranza parlamentare. Nel frattempo, il CPM continuava a governare il Bengala Occidentale e ad alternarsi al Partito del Congresso come forza dominante nella coalizione di governo dello stato di Kerala. Ma sebbene nel più recente periodo abbia introdotto limitate riforme agrarie e misure di assistenza sociale, dovunque e in tutte le occasioni nella quali il CPM abbia sostenuto incarichi di governo nei due trascorsi decenni, non ha fatto che introdurre “riforme” a favore del regime di mercato.

Come conseguenza di ciò, il CPM è andato incontro a una notevole erosione dei consensi nella classe operaia  e fra i lavoratori agricoli, e a numerosi e gravi rovesci elettorali. Nelle elezioni politiche del 2009 ha perduto quasi i due terzi dei deputati e nel 2011  ha subito una vera debacle che ha comportato la perdita del potere nello stato di Kerala e nel Bengala Occidentale.

Lo scopo della nuova risoluzione “ideologica” del CMP, al pari di quella adottata nel 1992, è, da un lato, di fornire una copertura “teorica” e un alibi al ruolo del CPM come strenuo difensore dello statu-quo della borghesia indiana e, dall’altro,  di perpetuare la sempre più irragionevole pretesa  di essere un partito marxista che si basa sulle lezioni della Rivoluzione d’Ottobre e sulla sua eredità.

La risoluzione si apre dichiarando che “L’attuale crisi generale del capitalismo è più grave, in molte delle sue manifestazioni,  della grande depressione del 1930” e che essa “sta provocando grandi sofferenze ad un’ampia  maggioranza della popolazione mondiale.” Ma poi si affretta a negare qualsiasi speranza che questa crisi aumenti le possibilità, e tantomeno la necessità, che la classe operaia  rovesci il sistema capitalistico mondiale. Nel paragrafo immediatamente successivo si afferma la persistente validità dell’affermazione contenuta nella risoluzione del 1992 del CPM, dove si dice che, con la caduta dell’Unione Sovietica, i rapporti di forza internazionali fra le classi si sono sbilanciati a favore dell’imperialismo.

Il CPM - in sintonia  con la reazionaria teoria stalinista dei due stadi, che ha sostenuto sin dalla sua formazione nel 1964 - ha sempre fondato la sua politica di subordinazione della classe operaia alla borghesia sull’affermazione che la lotta per il socialismo in India  possa avere inizio solo dopo che la stessa classe operaia, alleandosi con la borghesia “patriottica” “anti-feudale” ed “antimperialista”, abbia portato a termine la “rivoluzione democratica nazionale”, vale a dire la rivoluzione borghese.

Ma con il crollo dell’URRS, il CPM proclamò che la rivoluzione socialista non era più all’ordine del giorno, come riassunse la dichiarazione dell’allora  Primo Ministro del Bengala Occidentale e Membro del Politburo Jyoti Basu, il quale affermò che il “socialismo è una voce lontana.” Su questa base, si poté giustificare un ampio spostamento verso destra, il sostegno all’ala destra del governo centrale e l’attuazione di quella che è stata definita una politica “pro-investitori” negli stati in cui il CPM  ha incarichi di governo.

Secondo la visione stalinista del CPM, l’attuale crisi mondiale del capitalismo dimostra semplicemente che il capitalismo è un disumano sistema basato sullo sfruttamento il quale “continua a negare all’umanità la sua completa emancipazione, liberazione e progresso”. L’obiettivo che viene posto davanti alla classe operaia indiana  e mondiale non è, però,  il rovesciamento rivoluzionario dell’ordinamento capitalistico e imperialistico mondiali, ma la sconfitta del “neo-liberismo” e la lotta per un mondo “multipolare”.

Questa costante prospettiva contro-rivoluzionaria, proclamata a piena voce, è il logico risultato della difesa che il CPM fa dei crimini della burocrazia stalinista dell’Unione Sovietica e dello stalinismo e della conseguente deviazione nazionalistica del marxismo.

La pretesa del CPM che il collasso dell’Unione Sovietica abbia provocato  un duraturo “spostamento qualitativo dei rapporti di forza internazionali a favore dell’imperialismo” è basata sulla menzogna che il potere della burocrazia stalinista si identifichi col socialismo. Questa pretesa costituisce anche una grave distorsione del significato e dell’importanza di ciò che avvenne in URRS dopo l’ascesa di Gorbaciov al comando della burocrazia del Cremlino nel 1985.

Il dissolvimento dell’Unione Sovietica rappresentò il culmine di decenni di malgoverno di una casta burocratica privilegiata che aveva spietatamente represso la classe operaia. Si trattò dello stadio finale di una contro-rivoluzione iniziata negli anni venti con l’usurpazione del potere politico della classe operaia da parte di una burocrazia di privilegiati, radicata nello stato e nell’apparato di partito e  guidata da Stalin, derivante dall’isolamento e dall’arretratezza del primo stato operaio.

Questa burocrazia ripudiò la prospettiva internazionalista di Lenin e Trotzky, che vedeva il destino della rivoluzione russa come inseparabilmente legato  alla rivoluzione socialista mondiale. Sotto la bandiera del “socialismo in un paese solo” Stalin cercò  di realizzare un modus vivendi  col potere imperialista, trasformando i diversi Partiti Comunisti  in altrettanti strumenti della politica estera contro-rivoluzionaria del Cremlino. Negli anni trenta,  la burocrazia del Cremlino, perseguendo i propri interessi di casta nazionale privilegiata,  organizzò una serie di  catastrofiche sconfitte  della classe operaia che spianarono la strada alla seconda guerra mondiale. In Germania, Stalin ordinò  al partito comunista tedesco (KPD) di opporsi in ogni modo alla formazione di un fronte unito delle organizzazioni della classe operaia per fermare l’ascesa al potere del partito nazista, sostenendo che le organizzazioni di massa dei lavoratori, di natura riformista, fossero  “social fascisti”. In Spagna, in nome di un “Fronte nazionale antifascista” con la borghesia progressista, soffocò la rivoluzione operaia, utilizzando il Partito Comunista e unità  della NKVD  (la polizia segreta sovietica), per guidare il contrattacco dello stato borghese. Nel frattempo, tradiva i poli delle colonie, opponendosi a una sfida rivoluzionaria all’impero Francese e Tedesco e alle altre “democrazie” imperialiste, nella speranza di convincere queste ultime ad allearsi con l’Unione Sovietica contro le potenze dell’Asse. E all’interno dell’unione sovietica, il regime di Stalin organizzò a Mosca i famosi processi degli anni 1936-38 per giustificare la distruzione fisica della vecchia guardia leninista e di centinaia di migliaia di lavoratori socialisti, di giovani e di intellettuali.

Dopo la guerra, il Cremlino promosse una fondamentale politica di sostegno all’imperialismo mondiale che permise agli Stati Uniti di usare la propria potenza economica per esercitare un’egemonia senza precedenti sui paesi capitalisti rivali e per riorganizzare e rilanciare il capitalismo nel mondo. Secondo quanto stabilito nelle conferenze di Yalta e Potsdam, in cambio dell’accettazione statunitense ed inglese di una zona-cuscinetto sovietica in Europa orientale, Stalin ordinò ai partiti comunisti italiano e francese e a quelli di tutta l’Europa occidentale, di sostenere la borghesia nella ricostruzione di una democrazia capitalistica.

Trotzky e la Quarta Internazionale misero in guardia fin dal 1933 che, senza una rivoluzione antiburocratica guidata dalla classe operaia contro la burocrazia, la burocrazia stalinista avrebbe in ultimo distrutto lo stato operaio, rovesciato le forme di proprietà nazionalizzata  create dalla rivoluzione d’ottobre e ancorato i propri privilegi alla proprietà privata capitalistica (prospettiva tragicamente confermata in negativo dagli aventi del 1989-91).

Il CMP e il Partito Comunista Indiano, dal quale il CMP  ebbe origine, hanno sempre preso a modello la politica controrivoluzionaria della burocrazia del Cremlino, specialmente nell’epoca in cui era guidata da Stalin, e hanno sostenuto la sanguinaria repressione dell’opposizione trotzkista.

Nella risoluzione ideologica del 1992, il CPM riaffermava esplicitamente il proprio sostegno a Stalin affermando: “L’incontestabile contributo di Stalin  alla difesa del leninismo, contro Trotzky e le altre deviazioni ideologiche, l’edificazione del socialismo in URRS…sono incancellabili dalla storia del socialismo.”

Dopo vent’anni, il peana (inno di glorificazione, ndt) a Stalin rimane l’ortodossia del CMP. L’ultima risoluzione ideologica continua a venerare Stalin, che calpestò le minoranze  in URRS e ordinò al Partito Comunista Indiano di sostenere l’accordo sull’indipendenza del 1947 e la divisione del subcontinente, quasi fosse un esperto nella questione nazionale (indiana, ndt).

Nel 1992, riprendendo concezioni maoiste, il CMP accusò Khruschev e gli altri successori di Stalin di aver provocato il collasso dell’Unione Sovietica e promise di procedere ad un approfondito esame delle radici e delle cause della restaurazione del capitalismo. Prevedibilmente, questa rimase una vuota promessa,  perché qualsiasi indagine avrebbe immediatamente attirato  l’attenzione sulla menzogna e la distorsione in base alle quali il CMP sosteneva che l’URRS era rimasta socialista, come anche sul proprio ruolo nell’appoggiare la burocrazia e il suo controrivoluzionario mercanteggiare  con l’imperialismo.

La breve sezione della risoluzione ideologica che affronta il collasso dell’Unione sovietica è carente di precisione storica e di analisi di classe marxista. Rinforzando la tesi centrale del documento, che cioè i rapporti di classe sono attualmente a favore della borghesia,  si attribuisce la caduta dell’URRS  a una sottovalutazione delle capacità di ripresa del capitalismo mondiale: “la sottovalutazione del nemico di classe sia all’esterno sia all’interno dei paesi socialisti e la sopravvalutazione del socialismo…ha creato una situazione nella quale i problemi che i paesi socialisti dovevano affrontare sono stati ignorati (dai partiti al potere) allo stesso modo dei progressi e del consolidamento del capitalismo mondiale.”

In realtà, la sopravvivenza dell’imperialismo nonostante le innumerevoli sfide rivoluzionarie  al potere capitalistico nel corso del ventesimo secolo, è stata dovuta al fatto che l’Unione Sovietica ha contrastato tali sfide allo scopo di ottenere una coesistenza pacifica con l’imperialismo e per il timore dell’impatto che una rivoluzione socialista vittoriosa avrebbe avuto sulla stessa classe operaia sovietica. Per quanto riguarda il fatto che il PCUS e i suoi partiti fratelli abbiano ignorato i problemi che si ponevano ai paesi socialisti, bisogna dire che proprio essi (PCUS e partiti fratelli, ndt) erano alla radice di tali problemi, drenando ingenti quantità di risorse in forma di privilegi, negando alla classe operaia qualsiasi forma di autonomia politica e perseguendo un programma reazionario  di sviluppo economico nazionale autarchico.

Ciò che l’insignificante passaggio della risoluzione cerca di coprire, è che la burocrazia stalinista, come reazione all’aumentata pressione dell’imperialismo e alla crescente resistenza della classe operaia che si è manifestata nelle numerose sollevazioni in Europa orientale, portava a termine la restaurazione del capitalismo. E faceva questo allo scopo di radicare i propri illegittimi privilegi nella proprietà capitalistica privata. Negli anni immediatamente precedenti e successivi  alla caduta dell’URRS,  la burocrazia portò a termine una vasta operazione di saccheggio, riducendo la proprietà di stato a proprietà personale e facendo deliberatamente fallire qualsiasi pianificazione economica.

Certamente, l’imperialismo ha sfruttato l’opportunità offerta da questi ultimi tradimenti della burocrazia sovietica. Così, ha avviato un’ offensiva ideologica su scala mondiale  per sostenere che la storia avrebbe provato l’impraticabilità del socialismo per ridurre la vecchia Unione Sovietica  e l’Europa Orientale a  nuove riserve di forza lavoro a basso prezzo. Le conseguenze sono state terrificanti: la distruzione della maggior parte delle industrie e la perdita di molti benefici sociali come la scuola e l’assistenza sanitaria.

Questo, però, non significa la ripresa del capitalismo nel mondo né, tantomeno, uno spostarsi dei rapporti di forza a favore della borghesia. Piuttosto, come ha spiegato il Comitato Internazionale della Quarta Internazionale, il collasso dei regimi stalinisti è un risultato dello sfilacciarsi  dell’equilibrio capitalista all’indomani della seconda guerra mondiale, che apre le porte a nuovi periodi di guerre e di rivoluzioni.

La risoluzione del CPM presenta l’imperialismo statunitense come ancora in crescita. In realtà, l’esplosione del militarismo americano negli ultimi due decenni è legata a una crisi  del potere capitalistico (degli stati uniti) che ha fatto da  banchiere e da poliziotto del capitalismo mondiale negli ultimi sessant’anni. La nazione maggiormente indebitata al mondo, dipendente dalla speculazione finanziaria  per sostenere i profitti e la crescita, e che ha perduto  quote di mercato a favore dei paesi rivali, deve ormai sempre più ricorrere a guerre di aggressione per tentar di riaffermare la propria egemonia.

Mentre il CPM invoca la dissoluzione dell’URRS per dedurne la  cancellazione della rivoluzione socialista dall’orizzonte storico almeno nell’immediato futuro, la sua risoluzione esalta la Cina come “socialista” e difende il regime stalinista cinese che ha liquidato le conquiste della rivoluzione del 1949 e che sfrutta la forza lavoro a basso costo nelle industrie degli investitori stranieri e dei capitalisti locali.

La risoluzione magnifica  i “positivi risultati” che le “riforme” hanno prodotto in Cina e cita varie affermazioni pretestuose che il governo cinese ha avanzato per giustificare la completa restaurazione del capitalismo dopo l’eccidio di piazza Tien –an – Men, che il CPM giustificò a suo tempo. Tali affermazioni includono  la pretesa che la Cina sia “nel primo stadio del socialismo…e che ci vorranno almeno cento anni per sviluppare un economia di mercato socialista e per costruire un socialismo con caratteri cinesi”.

La risoluzione riconosce poi alcuni fattori “negativi” o “imponderabili”, come ad esempio la corruzione  e le diseguaglianza sociale, “il gran numero di imprenditori  e uomini d’affari iscritti al CCP” e il ridimensionamento del concetto di imperialismo.

In questo modo il CPM continua  a celebrare come socialista un partito apertamente schierato per la restaurazione capitalistica  e infatti  lo prende a modello per la sua propria politica “pro-investitori”in stati come il Bengala occidentale, e in tal modo rende chiaro che non esiste alcun limite  che gli stalinisti del CPM non siano disposti a superare  per continuare nel proprio servile atteggiamento verso la borghesia indiana e l’imperialismo.
                              (traduzione a cura del collettivo di formazione marxista "Maurizio Franceschini")              http://www.wsws.org/articles/2012/apr2012/cpmc-a16.shtml  

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