La gamma di alternative oggi “percepibili” da un lavoratore
è drasticamente limitata, anche rispetto a un passato non molto lontano:
soprattutto, da questa gamma sono assenti ipotesi alternative complessive
sull’economia e la società. In primo luogo, oggi le organizzazioni del
movimento operaio (ci riferiamo sempre all’occidente capitalistico, e in primo
luogo all’Italia) non propongono più alternative del genere. (Non ci riferiamo,
ovviamente, ad alternative “rivoluzionarie classiche”, ma ai “nuovi modelli di
sviluppo” o di democrazia proposti ad es. dai sindacati o dal PCI in Italia
negli anni 60-70). Su questo si innesta l’efficacia (parziale) dei grandi mezzi
di comunicazione di massa: parziale perchè questi non riescono a far passare
un’adesione e un consenso al modello di società da essi divulgato, ma riescono
a farlo passare per l’unico possibile, in sostanza come “male inevitabile” (la
crisi erode ulteriormente gli elementi di consenso, ma rafforza l’idea di
inevitabilità). Complessa è l’evoluzione dei sindacati. La CISL è la prima a “fare i
conti” con la sconfitta dell’89, con una netta svolta a destra. La CGIL evita
di fare esplicitamente un bilancio critico, e mantiene elementi di debole
continuità con la fase precedente. Di fatto, i sindacati non possono assumere
organicamente uno schema liberista che è in contraddizione con la loro stessa
natura e funzione: approdano quindi a un’impostazione “concertativa”, che è la
riproposta di un modello di relazioni industriali a suo tempo chiamato
“neo-corporativo”, maturato nell’ultima fase del fordismo. Ma, se allora era un
mix di concessioni e di contropartite, ora – nella situazione mutata – si
ripresenta in una versione “debole”, in cui le concessioni e i vincoli superano
nettamente le contropartite e i margini di iniziativa contrattuale autonoma. La
CISL innesta su questo una sua ideologia della “partecipazione”, mentre la CGIL
rilancia tardivamente un modello di “co-determinazione” (dove l’analisi “di
classe” non scompare) quando non ci sono più le condizioni per realizzarlo, per
cui rimane sulla carta. La conseguenza pratica di tutto questo è che i
sindacati “gestiscono il riflusso”, in un’impostazione puramente difensiva
anche quando le condizioni oggettive riaprirebbero possibilità di
controffensiva. Alla fine degli
anni 50-inizio anni 60, chi avesse fatto un’inchiesta sulla coscienza di classe
si sarebbe trovato di fronte a “brandelli di coscienza” non dissimili da quelli
riscontrati nell’inchiesta di Brescia: una lucida valutazione negativa della
propria condizione e delle sue cause, accompagnate da una sfiducia nelle
possibilità di cambiamento generale, e – quindi – da ricerca di soluzioni
individuali, talvolta “opportunistiche”. E’ questo il materiale su cui hanno
“lavorato” le organizzazioni che, negli anni successivi, hanno costruito una
grande stagione di lotta e coscienza di classe. Ma vi erano due profondi
elementi di differenza con la situazione attuale:
- esistevano organizzazioni o parti di esse (mi riferisco in
particolare alla CGIL) che perseguivano lucidamente un disegno di “ricostruzione
di classe” nella prospettiva di un cambiamento sociale;
- le condizioni dello sviluppo capitalistico (pensiamo ad
es. agli anni del “miracolo economico”) favorivano lo sviluppo delle lotte
operaie.
Tutto ciò ha permesso di innescare un “circolo virtuoso” tra
comportamenti delle organizzazioni (via via estesi a organizzazioni prima più
“arretrate”), esperienze di lotta, sviluppo di coscienza, che ha portato al
grande decennio tra la fine degli anni 60 e la fine degli anni 70.
Oggi, come abbiamo visto, tali condizioni al momento non
sussistono. E non ci sono le condizioni per una “scorciatoia” che, in tempi
brevi, inverta il “circolo vizioso” oggi imperante. La domanda è: è possibile
lavorarci per spezzarlo? questo lavoro è possibile nel puro ambito nazionale?
chi (ovviamente non ci riferiamo a persone, ma ad organizzazioni) ha la volontà
e la capacità di impegnarsi in questo lavoro? http://www.sinistrainrete.info/analisi-di-classe/1004-vittorio-rieser-sulla-coscienza-di-classe-nellattuale-fase-del-capitalismo.html
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