domenica 7 luglio 2013

Il Buen Vivir in Ecuador - Ilaria Semprebene -

Sotto la presidenza di Rafaél Correa, in carica dal 2006, nel settembre del 2008 è stata ratificata in Ecuador, con un referendum popolare, la nuova Carta Costituzionale, che rifonda lo Stato dichiarandolo sovrano, democratico, plurinazionale e interculturale. La Costituzione precedente classificava il paese come multi-etnico e multi-culturale, così il passo compiuto è da una nozione semplicemente cumulativa delle differenti identità che abitano il territorio, ad una decisamente più aggregativa e inclusiva: la varietà delle culture e il loro incontro e partecipazione in condizioni di equità e uguaglianza costituiscono una risorsa che l'attuale governo di Correa ha l'obiettivo di valorizzare. Questo comporta, evidentemente, uno Stato decentralizzato e il rispetto per i modi differenti di amministrare localmente il territorio che le comunità hanno ereditato ed esercitano.
Con l'entrata dell'Ecuador, nel 2009, nell'Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA), le trasformazioni epocali emerse grazie alla mobilitazione popolare, di indigeni, contadini, lavoratori e intellettuali, in diversi paesi latinoamericani, in particolare a Cuba, in Bolivia e in Venezuela, oltre naturalmente allo stesso Ecuador, hanno ribadito un loro carattere continentale di liberazione collettiva dal giogo colonialista, autodeterminazione e integrazione regionale, solidarietà  e complementarietà.
Il nuovo documento costituzionale dell'Ecuador, frutto del lavoro di un'Assemblea Costituente eletta che ha visto il contributo essenziale dei movimenti indigeni, incorpora un paradigma, quello del Buen Vivir, i cui principi fondamentali e le cui conseguenze sulla vita sociale, economica e politica del paese costituiscono un ulteriore taglio netto con il passato, che aveva visto il prevalere di politiche neo-liberiste e la marginalizzazione di ampie fasce della popolazione,  in particolare i popoli naturali.
Il Buen Vivir, dal quechua sumak kawsay, recupera una visione olistica dell'esistenza, di vita piena e in armonia con se stessi, i propri simili e la natura, che affonda le radici nelle credenze, nei saperi e nelle pratiche ancestrali delle comunità indigene. Ma non esclusivamente. Il Buen Vivir si ricollega anche ad alcuni principi e filosofie universali, come il marxismo, l' ecologismo, il femminismo, il pensiero aristotelico e altri (Acosta : 2010).
Così come viene articolato nella nuova Costituzione e nel Piano Nazionale per il Buen Vivir 2009-2013[1], postula primariamente un modello alternativo di sviluppo sociale ed economico sostenibile, al centro del quale non si ha più, come nel sistema capitalista, l'accumulazione e concentrazione illimitata del capitale col suo corollario di sfruttamento a tutti i livelli, quanto piuttosto l'essere umano inserito in una collettività umana e in un ambiente naturale che gli permettono di vivere. In quest'ottica relazionale, sono imprescindibili equità e giustizia sociale e ambientale. Ecco perché, nella Costituzione, ampio spazio viene dedicato ai diritti che lo Stato ha il compito di garantire tanto al singolo, quanto alla comunità e, per la prima volta, alla natura stessa (art. 10).

Dall'articolo 12 al 34, sono enunciati i diritti specifici del Buen Vivir:

                    diritto all'acqua e all'alimentazione (art. 12-13);
                    diritto ad un ambiente sano ed ecologicamente equilibrato (art. 14-15);
                    diritto alla comunicazione e all'informazione (art. 16-20);
                    diritto alla cultura e alla scienza (art. 21-25);
                    diritto all'istruzione (art. 26-29);
                    diritto all'habitat e all'abitazione (art. 30-31);
                    diritto alla salute (art. 32);
                    diritto al lavoro e alla sicurezza sociale (art. 33-34)[2].

Lo Stato si riappropria dei beni comuni, per sottrarli alla gestione privata, per riaffermarne la natura non mercificabile e assicurare l'accesso universale ad essi. Si tratta di conquiste estremamente significative, soprattutto considerando che, nei decenni precedenti al mandato di Correa, si era assistiti a politiche di liberalizzazione, privatizzazione e deregulation che rispondevano al diktat del Consenso di Washington, e che avevano condotto alla grave crisi finanziaria del 1999.
Il cambio di paradigma sottolinea l'abbandono di una visione economica interessata alla mera crescita quantitativa, che misura lo stato di salute di una società monitorandone il PIL, o altri indici che non rendono conto della qualità di vita reale nel paese e che trascurano la necessità di una redistribuzione sistematica della ricchezza tra la popolazione, a vantaggio delle fasce più deboli. Realizzare crescita economica senza avanzamento civile e giustizia sociale e ambientale è una contraddizione le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti e hanno portato ad una molteplicità di crisi a livello globale.
Lo sviluppo di cui è necessario si preoccupi l'apparato statale è piuttosto quello umano, inteso come la maggiore offerta possibile di opportunità alle persone e alle comunità, la difesa della loro dignità, la tutela e il rispetto della loro identità e diversità, la soddisfazione dei loro bisogni, la facilitazione della loro autonomia, la valorizzazione dei loro luoghi. La pianificazione degli investimenti e degli interventi sul territorio da parte del governo di Correa rispecchiano per l'appunto questo intento. In tale orizzonte prospettico, il tentativo trasformativo è quello di costruire, insieme, una società democratica, unitaria, policentrica, composta non da individui animati da egoistica ambizione, ma esseri umani solidali, cooperativi, che si realizzano in complementarietà con la vita collettiva.
Perché possa aversi un tessuto sociale vario ma coeso, coinvolto nelle questioni di pubblico interesse e appagato, è evidentemente imprescindibile garantire universalmente un'istruzione che educhi alla pace e alla collaborazione, che sia anch'essa democratica, partecipativa, plurale. È indispensabile anche abbattere la disoccupazione, e garantire il diritto costituzionale al lavoro. Non un lavoro qualsiasi, ma liberamente scelto o accettato, che offra la dovuta sicurezza sociale, un'occupazione stabile, quindi, adeguatamente retribuita, e che lasci spazio al tempo libero.
Considerando che non può esservi Buen Vivir senza un ambiente salubre, lo Stato si fa custode del patrimonio ambientale del paese, il cui sfruttamento indiscriminato aveva acceso le rivendicazioni delle comunità originarie, minacciate nei loro luoghi d'appartenenza dalle conseguenze della crisi climatica, dalla sottrazione di terre e dall'inquinamento. Proprio a difesa dei diversi ecosistemi del territorio ecuadoriano, sono sanciti costituzionalmente i diritti della natura (art. 71-74):

                    La natura ha diritto ad essere rispettata integralmente, nei suoi cicli vitali, strutture, funzioni e processi evolutivi.
                    La natura ha diritto a interventi di riparazione.
                    Lo Stato adotta misure preventive o restrittive per attività che possono danneggiare in modo permanente gli ecosistemi.
                    Persone, comunità, popoli e nazionalità hanno diritto a godere dell'ambiente e delle ricchezze naturali che rendono possibile il Buen Vivir.

Per illustrare meglio il nuovo approccio ambientale promosso dall'Ecuador, basti portare ad esempio la delicata questione dei giacimenti di petrolio presenti nel sottosuolo del Parco Yasuní. Il parco vanta una biodiversità senza pari nel mondo, oltre ad ospitare alcune culture indigene prive di contatti con la civiltà moderna, sicché l'estrazione del petrolio comporterebbe la perdita di un patrimonio naturale e culturale inestimabile. Il presidente Correa ha avanzato come soluzione-compromesso quella di istituire un fondo alle Nazioni Unite per sopperire, almeno parzialmente, alle risorse socialmente investibili di cui l'Ecuador si priverà per preservare quel tesoro naturale e scongiurare, in questo modo, l'emissione di ulteriori tonnellate di CO2 nell'atmosfera terrestre.
È chiaro che non è possibile, né auspicabile, azzerare l'impronta dell'attività umana sulla natura, è tuttavia responsabilità etica di tutta la società quella di assicurare non soltanto ai propri membri viventi, ma alle generazioni future e al pianeta stesso, con tutti i suoi abitanti, ecosistemi ancora in grado di rigenerarsi e di ospitare la vita. I popoli originari hanno molto da insegnare in merito: le cosmovisioni che hanno guidato da sempre il loro agire parlano di una relazione spirituale, prima ancora che materiale, con la Pacha Mama, la madre terra. L'adozione ufficiale del paradigma del Buen Vivir, così come in Bolivia del Vivir Bien, intende legittimare le visioni indigene del mondo, per integrarle nel progetto di rifondazione latinoamericana.
Non si tratta di dismettere improvvisamente gli strumenti del progresso scientifico e tecnologico, di bandire la proprietà o l'impresa privata, ostacolare il successo individuale e uniformare gli stili di vita, per tornare ad un'esistenza “tribale”. Si farebbe un torto alle stesse comunità indigene se si concepisse l'invito al Buen Vivir in questi termini, considerando soprattutto la complessità della cultura e degli usi e costumi di queste civiltà, certamente non arretrate, anzi custodi di pratiche ancestrali all'avanguardia rispetto a quelle moderne. Si colga invece il Buen Vivir come un'opportunità, non soltanto per l'Ecuador o l'America Latina: l'opportunità di mettere scienza e tecnologia al servizio dell'umanità e della preservazione della natura, di liberarsi dalla morsa di un sistema, quello capitalista, che subordina la vita al profitto e sta rapidamente conducendo alla rovina della specie, di costruire un futuro sul pianeta in cui vi sia spazio per tutte e tutti, all'insegna dell'arricchimento reciproco, della coesistenza pacifica e solidale.



SITOGRAFIA                                                     
                                                                                                               http://en.wikipedia.org/wiki/Ecuador                                                                                                   http://en.wikipedia.org/wiki/Rights_of_Nature                                                                                                                                         http://elearning.uni-bielefeld.de/wikifarm/fields/ges_cias/field.php/Main/Unterkapitel21                 http://plan2009.senplades.gob.ec/web/en/presentation                                                                        http://plan2009.senplades.gob.ec/web/en/principles                                                                                    http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=19143                                                 http://www.uncsd2012.org/index.php?page=view&nr=49&type=1000&menu=126                         http://terzo-incluso-parma.blogautore.repubblica.it/2012/10/12/2915/                                                    http://www.ifad.org/operations/pipeline/pl/ecuador.htm                                                          
BIBLIOGRAFIA

L. Vasapollo, Dagli appennini alle Ande. Cafoni e indios, l'educazione della terra, Milano, Jaca Book, 2011.





[2] Consultare il seguente link per una traduzione in italiano della Costituzione ecuadoriana, a cura dell’Associazione a Sud:  http://asud.net/images/doc/costituzione_dellecuador_2008.pdf

Nessun commento:

Posta un commento