domenica 7 luglio 2013

supermercati - Aristide Bellacicco -

Quel giorno facevano finta di essere in italia e così sono andati insieme in un grosso supermercato - Sidis Auchan Iperemme non lo so - e appena entrati hanno preso atto ancora una volta che lì c’era proprio tutto, le cose per le bambine, le macchine fotografiche e le caffettiere elettroniche, e poi moltissime scarpe da ginnastica di ogni tipo, vestiti, gonne, camicette, giacche, un’esposizione di computer portatili dual core, dvd recorder da ottanta giga, prosciutti sotto vuoto, orzo biologico, telefoni cellulari con la possibilità di girarci dentro dei film, merendine, uova- radio- sveglie, ogni bendiddio insomma, e a un certo punto lei ha fatto un mezza giravolta su se stessa e ha detto “oh, mi gira la testa”, ma era per la grande allegria che sentiva, perché l’abbondanza degli oggetti le metteva allegria ma soprattutto le metteva allegria guardare quanta gente stava lì come a casa propria, senza nessuno a disturbare o a mettere fretta mentre toccavano e sceglievano qualcosa da comprare.
“Mi fa piacere che stai bene” ha detto Cori e subito l’aveva presa sottobraccio per farle coraggio, sapeva perfettamente quanta paura lei aveva in quel momento e che i suoi sentimenti stavano tutti sottosopra, e quell’allegria forse andava tenuta d’occhio, ma per lo meno non si sarebbe messa a strillare e forse nemmeno sarebbe svenuta lì in mezzo, e questo era già molto. 
I suoi capelli avevano un buon profumo, Cori lo ha aspirato a fondo e con dolore e per distrarla le chiede se le piacerebbe un foulard, ce n’è un banco enorme, colmo di foulard di tutti i colori che gli facevano venire in mente uccelli tropicali in una gabbia di vetro, si possono tirar su con due dita e provarseli davanti allo specchio, nessuno dice niente, qui siamo in italia, anche se è per finta, dopo tutto è casa nostra diavolo.
Cori dice che “ah, è bellissimo” e lei se lo sistema come la bandana di un pirata, se lo tiene in testa col cartellino del prezzo che penzola da un lato ricoperto dal codice a barre e poi è tutta contenta come una ragazzina e dice che vuole prendere anche qualcosa per le bambine e per sua madre, dice che ha voglia di comprare tutto quello che c’è, perché comprare è bello, capisci cosa voglio dire tesoro? è come abbracciare, stringersi, stare in un posto caldo e accogliente dove gli altri ti sorridono e non ti si mettono contro, perché sono contenti come te e allora va tutto bene, è così come dovrebbe essere sempre, tutto normale, tranquillo e gioioso.
Cori la teneva ancora sottobraccio, poi l’ha presa per mano per lasciarla più libera ma non se la sente di rinunciare alla stretta e di farla andare avanti da sola a vedere tutte quelle cose, in quel momento lei ha una paura terribile che non sa di avere e tutto ciò che le sembra bellissimo potrebbe in un attimo trasformarsi nel suo esatto contrario, quante volte era già successo? bastava niente, un dettaglio o un minuscolo intoppo nell’armonia del mercato, qualcosa che la portasse a pensare alle cose che le fanno così tanto male e allora addio allegria, siamo punto e da capo col dolore.
Cori non conosceva l’origine di quel male immenso che la svegliava di notte e di giorno e la faceva dimagrire e bere, e poi mangiare fino a che vomitava, togliersi con uno strappo gli orecchini facendosi sanguinare il lobo delle orecchie e smaniare durante la messa oppure uscire di casa la mattina presto in pantaloni e reggiseno perché all’improvviso le è venuto in mente che oggi piove, mannaggia, e perché? e forse il lavavetri al semaforo non riesce a lavare nemmeno un cristallo e quindi non fa una lira, non è possibile tesoro, ma come fai a sopportare un dolore simile? e allora deve andare di corsa a portargli un biglietto da cinque euro e poi, mezza nuda, entrare nel bar e lasciargli una colazione pagata, ma dopo due minuti esce un’altra volta sotto la pioggia per assicurarsi che abbia davvero bevuto il caffellatte col cornetto e poi gli lascia ancora qualcosa in mano, qualche spicciolo di metallo e si vergogna e chiede scusa che è troppo poco. 

Cori va e viene con lei, le corre dietro come un cane e non la può fermare, certe volte non riesce nemmeno ad andare al lavoro perché lei non trova pace per tutta la mattinata e comincia a parlare a raffica di tutti quelli che stanno male e che non si possono comprare niente e nomina gente mai conosciuta, persone immaginarie che si inventa lì su due piedi ma che pure, dice, debbono esistere da qualche parte, è impossibile che non esistano, tesoro, ti rendi conto, devono esistere per forza e come si fa, come si fa a sopportarlo? va su e giù per tutta casa e comincia a inveire porca porca porca porcaschifosissima italia e si mette a chiamare le agenzie di viaggio per sapere quanto costa trasferirsi in un’isola del pacifico dove la gente è tutta uguale e sta tutta bene e va avanti così come una pila atomica fino a che il dolore la sommerge completamente e bisogna chiamare l’ambulanza o il dottore per farle l’iniezione di tranquillante perché dopo, almeno, si addormenta per qualche ora e quando si sveglia è troppo stanca per sentire subito ancora dolore. Mentre dorme sul divano, Cori le bacia i capelli zuppi d’acqua, si inginocchia sul pavimento e le poggia la testa sul seno. Qualche volta si addormenta lì ascoltando il suo respiro.
Adesso sono arrivati al reparto abbigliamento, migliaia e migliaia di abiti di ogni genere e taglia, gonne pantaloni giacche vestititi da sera e da notte blujeans roba in stoffa in pelle in plastica in materiali nuovi antipioggia antifreddo antistrappo a fiori tintaunita trasparenti maschio femmina bambino vecchio e giovane occasioni così così e cose di lusso e a vederli tutti insieme allineati in fila e appesi alle stampelle degli espositori sembra “come se tutta la gente del mondo fosse venuta a spogliarsi qui” dice lei, e di colpo diventa seria e Cori trema perché forse quella frase le ha dato una spinta dalla parte sbagliata, quella del dolore, non ci sono regole, basta un niente, la parola “spogliarsi”, un’associazione di idee ed è fatta. 
Ci siamo, pensa Cori, sta cominciando, e immagina la mente di lei che si riempie di un’assurda folla di derelitti, gente nuda, al freddo, persone che non hanno nemmeno i soldi per cambiarsi la giacca che cade a pezzi, uomini con i pantaloni talmente consumati che si vedono le mutande, donne anziane che portano la borsa della spesa a mani nude in pieno inverno, bambini scalzi o con scarpette scucite e le calze piene di buchi, zingari, vagabondi, lavavetri sotto la pioggia.
E infatti la prima cosa che lei fa è togliersi il foulard, lo lascia cadere per terra come una foglia secca, ora si sta vergognando di averlo voluto comprare anche se era stato lui a offrirglielo, e sfiora con le dita qualche abito e sicuramente prova dolore nel contatto, perché in questo momento quegli abiti sono per lei solo il segno dello “spogliarsi” di qualcun altro, la prova che qualcuno soffre e manca del necessario e tutta quella abbondanza, se non si corre subito ai ripari, fra pochi istanti può diventare l’inizio di un incubo spaventoso e il caldo abbraccio del mercato trasformarsi nel respiro gelato di un brutto pupazzo di neve che si va costruendo dentro di lei, con la faccia di un povero e la pipa di legno spento, freddo e basta.
Cori raccoglie il foulard da terra e se lo poggia su una spalla, poi si avvicina e la sente mormorare
porca porca porcaschifosissima italia, e pensa che se in quel momento arrivasse qualcuno anche solo per guardare i prezzi, anche senza comprare, o magari per acquistare, che so, almeno un paio di calzini, lei starebbe subito meglio e ricomincerebbe a pensare che il mercato è un posto in cui si può essere tranquilli, perchè va tutto bene, la gente ha i soldi per comprarsi tutto quello che vuole, c’è gioia e normalità, la normalità della gioia, e si rimette la bandana sui capelli, si sente ancora piena di allegria e per questa volta il peggio è passato, andiamo avanti.
Invece sembra che nessuno si interessi agli abiti, il supermercato è immenso, va bene, ma può benissimo capitare che oggi nessuno abbia bisogno di comprasi un vestito nuovo, però a Cori questo pare davvero impossibile, la gente non fa altro che comprarsi vestiti nuovi, no? e pensa che se riesce a guadagnare anche solo cinque minuti è probabile, ad esempio, che quel gruppo di ragazzine che ora stanno ispezionando il bancone dei cosmetici si avvicinino per curiosare nel settore abbigliamento e basterebbe questo a ribaltare la situazione e a strapparla al dolore.
Così cerca di prenderla di nuovo sottobraccio ma lei si divincola, ma non per ostilità, è che si vergogna, e fra poco gli chiederà tesoro, ma com’è possibile sopportare un dolore simile? e poi arriva il seguito ma per ora c’è soltanto quel porcaschifosissima, porcaschifosissima italia che però rotola in avanti e cresce come una valanga in alta montagna e allora Cori si rende conto che l’unica cosa che può fare è raccontarle ancora la bugia, di solito funziona e lei dopo si calma sempre un po’, la bugia offre una via di fuga fragile e solo momentanea ma è meglio di niente, in fin dei conti sono usciti di casa al ritmo di quella bugia e anche per questo lei era così allegra e spensierata fino a dieci minuti prima.
Cori ha inventato quella bugia tre mesi fa, quando è dovuto correre a riprendersela al commissariato perché la mattina del giorno in cui pagavano le pensioni lei si era andata a mettersi davanti a un ufficio postale per chiedere ai vecchi, via via che uscivano, di farle vedere quanto avevano preso.
Qualcuno aveva pensato che era una giornalista e molti avevano tirato fuori gli assegni per farle leggere quelle cifre ridicole, sei, sette, ottocento euro per lo più, qualcuno anche meno, qualcuno anche quasi niente per via del conguaglio delle tasse, e lei aveva cominciato a chiedere a tutti come facevano a sopportarlo e c’era stato chi aveva risposto a tono, con rassegnazione o con rabbia per le ingiustizie, mentre altri si erano risentiti, le avevano chiesto a brutto muso se era venuta lì a provocarli o cos’altro diavolo voleva, lo sanno tutti come stanno i pensionati in questo porco di paese mi sembra, ma era stata una frase che aveva detto lei a un certo punto a far precipitare le cose e a trasformare la situazione in un specie di doloroso delirio, in una maledetta commedia che era quasi finita male.
Lo so che siete tristi, si era messa a dire ad alta voce, perché non vi potete comprare quasi niente, eppure nei supermercati c’è tanta gioia, non so se ci siete mai stati, forse no perché non avete abbastanza soldi, ma lì dentro si può stare davvero bene, è l’unico posto dove le persone vengono trattate come si deve e dove non gli manca niente, perché c’è tutto. Avete capito? C’è tutto, e quando si sta lì è bellissimo, ci si sente al caldo, comprare è come essere abbracciati tutti insieme, e più cose si comprano meglio è, perché così tutti possono avere quello che gli serve e non c’è più niente che faccia male e la tristezza se ne va, c’è allegria, tranquillità, credetemi, è bellissimo, la povertà scompare e tutti sono felici.
Aveva continuato così per una mezz’ora buona, fino a che un tale le aveva dato una spinta dicendole una frase volgare e lei era caduta all’indietro sul marciapiede, ma si era rialzata subito e aveva ricominciato tale e quale, e anzi tirava per la giacca quelli che non volevano fermarsi per starla a sentire e insisteva con tutti, così aveva preso un’altra spinta bella forte e a quel punto il direttore dell’ufficio postale era uscito a vedere che cosa stava succedendo perché sul marciapiede si era raccolto un capannello di persone molto agitate, ma la cosa più strana era che a nessuno era ancora venuto in mente che lei non stava bene e quindi, in un certo senso, la prendevano sul serio e questo li faceva arrabbiare ancora di più, credevano che lei fosse venuta lì per umiliarli con quei discorsi sulla felicità e sui supermercati, e c’era stato un vecchio che si era quasi sentito male a forza di strillarle sul viso che lei non aveva rispetto, ecco, non aveva nessun rispetto per la gente che stava male, che era una donnicciola ricca e viziata, una perdigiorno che si annoiava e che non sapeva come sprecare il tempo e che quei discorsi li andasse a fare alle sue amiche ricche e viziate come lei e non ai disgraziati che vivono di pensione e che se proprio non voleva lavorare allora si mettesse a battere, che forse quello lì era l’unico mestiere che gli sarebbe riuscito proprio bene.
Poi il direttore aveva chiamato la polizia e la faccenda si era risolta, ma quando Cori era andato a riprendersela al commissariato aveva dovuto dare un sacco di spiegazioni, far vedere le ricette degli psicofarmaci e telefonare al dottore perché parlasse con l’agente di turno prima che la lasciassero tornare a casa.
Lei si era fatta qualche graffio sulle mani, aveva uno strappo sul cappotto e una calza smagliata, ma insomma niente di grave, però il dottore era arrivato subito, le aveva fatto l’iniezione e aveva aspettato che si addormentasse, non credo che si possa andare avanti così, aveva detto prima di andarsene e Cori aveva risposto neanch’io, ma lui e il dottore pensavano a soluzioni diverse, il dottore a un ricovero in una casa per malattie mentali mentre Cori si domandava solo che cosa altro poteva inventarsi per proteggerla da se stessa e da quel dolore assurdo che se la mangiava viva e che nessun altro poteva capire fino in fondo perché nessun altro le voleva bene come lui.
Era stato così che aveva pensato alla bugia e appena lei si era svegliata le aveva preparato un caffè, si era seduto accanto a lei sul divano e aveva cominciato a raccontarle che le cose che si vedevano alla televisione e anche quelle che si vedevano per strada, tutta la gente che stava male insomma, quelli che non avevano i soldi per comprarsi le cose e che nemmeno andavano nei supermercati perché tanto che ci andavano a fare, ecco, era tutto relativo e non bisognava prenderlo troppo sul serio, hai capito amore?
Aveva parlato a lungo e lei l’aveva seguito con attenzione, gli aveva fatto un sacco di domande e aveva voluto sapere tutto nel dettaglio, ma soprattutto le interessava capire com’era possibile che quel vecchio che le aveva detto di andare a battere e gli altri che l’avevano malmenata la mattina davanti all’ufficio postale vivessero davvero in un altro paese e non in italia, e allora Cori le aveva spiegato che anche questo era relativo, e che era una questione di punti di vista, amore devi convincerti che l’italia comincia e finisce nei supermercati, perché lì c’è tutto, la gente sta bene e compra ogni cosa che vuole, e finché si rimane lì dentro non c’è bisogno di preoccuparsi di nulla, io e te possiamo comprare tutto quello che ci viene in mente e così anche gli altri, ma è quando stiamo fuori per la strada o quando guardiamo certe cose in televisione, è allora che ci si confondono le idee, perché il mondo appare in una luce diversa e così ti vengono quei pensieri terribili e tutto quel dolore. Invece non ce n’è bisogno. Quando vedi qualcosa che ti fa soffrire, quando vedi la gente che sta male, quelli che hanno pochi soldi, o i vagabondi, i lavavetri eccetera, ecco, tu devi pensare che quelli stanno altrove, in un paese che noi non conosciamo anche se si chiama italia e che tu, in quel momento, stai solo facendo finta di vivere in italia. Poi ce ne andiamo in un supermercato e tutto va a posto, non ci pensiamo più.
Dopo quel discorso, lei era rimasta zitta per giorni, senza uscire di casa e senza nemmeno accendere il televisore. Certe volte lo fissava come se volesse fargli qualche domanda ma poi rimaneva in silenzio, si guardava le mani e gli sorrideva. 
Il giorno che aveva cominciato a parlare delle bambine, Cori era stato attentissimo a non chiederle “quali?” e così quelle bambine avevano via via occupato una parte crescente dei suoi pensieri e ogni volta che uscivano facendo finta di essere in italia finché non entravano in un grande supermercato, lei non faceva che parlare di tutte le cose che voleva comprare per loro, scarpe, vestitini, giocattoli, merendine.
Quando il dolore tornava con forza a masticarle la mente, Cori le ripeteva all’orecchio la bugia e spesso lei si calmava, anche se bisognava ancora ricorrere molto spesso al dottore, all’iniezione, e c’erano ancora quei discorsi sul ricovero e sul “non credo che possiamo andare avanti così”, ma il dottore non sapeva nulla della bugia e si meravigliava, ogni tanto, di trovare in lei qualcosa di diverso che non si poteva ancora chiamare “miglioramento” ma insomma.
Cori sapeva benissimo che non bisognava esagerare con la bugia e che andava utilizzata solo in extremis, perché dentro di lei il dubbio che l’italia fosse un posto reale anche fuori dai supermercati era ancora forte e ogni volta che incrociavano qualcuno con addosso i segni della povertà o uno sguardo che faceva pensare all’infelicità e al dolore doveva stare attento a prevenire uno scatto, una fuga improvvisa di lei per andare di corsa da quello a mettergli in mano dei soldi e cominciare a parlargli del fatto che forse non era vero che l’italia fosse dovunque e che magari stava solo nei supermercati, dove si era felici, anche se non era proprio sicura che fosse così, ma poteva anche essere, c’era un segreto che spiegava tutto.
Ma adesso non si può fare altro perché lei continua a ripetere come un rosario porcaschifosa, porcaschifosa, e sfiora i vestiti e sta per arrivare al punto di non ritorno, le ragazze sono andate via e nessun altro si avvicina al reparto abbigliamento.
Cori le mette un braccio attorno alle spalle e le sussurra all’orecchio “attenta, amore, il genio cattivo è tornato e ti sta facendo un brutto incantesimo. Dici le parole magiche e se ne andrà”, e allora lei sorride di colpo come se si fosse ricordata di una cosa semplicissima e meravigliosa, si volta a guardarlo e dice “hai ragione, mi ero confusa, qui dentro siamo in italia, è casa nostra, me ne stavo dimenticando”, perché ormai quella bugia la conosce a memoria e basta una piccola spinta, una sillaba di suggerimento perché se la racconti da sola e ci creda.
“Ma certo” dice Cori e la spinge verso un altro settore del supermercato “poco fa non ti sei accorta, ma c’erano delle ragazzine tutte contente che stavano facendo gli occhi dolci a quei vestiti, sono sicuro che quelle fanno man bassa” e intanto la spinge via. Ma a quel punto lei è di nuovo subito allegra, perché le sono tornate in mente la madre e le bambine e dice che bisogna assolutamente prendere qualcosa per loro, “non possiamo presentarci a mani vuote, ora ci facciamo ancora un bel giro e vediamo quello che c’è” e Cori sa che nella sua mente quel giro fra gli espositori e gli stand non ha una durata o una forma, non corrisponde a un tragitto con un inizio è una fine ma è immenso come la rotazione del Sole attorno a se stesso, un aggirarsi che tende all’ infinito e all’eterno ritorno sulle stesse cose, ritardando il più possibile il momento della scelta e il terribile arrivo alle casse, oltre le quali finisce l’italia e riprende a battere quel posto assurdamente doloroso dove lei trascorre quasi tutto il suo tempo.
Quella faccenda delle bambine, però, è per lei una fonte così assoluta di gioia e oblio che Cori proprio non se la sente di interferire, ci mancherebbe solo che si mettesse a collaborare con l’incubo, Cori sta lì solo per lei, per aiutarla come può ed è convinto che lo può fare meglio del dottore, certamente, molto meglio. 
E anche se nello stesso momento gli viene il dubbio che in questo aiuto c’è qualcosa di sbagliato e che è proprio quel modo di aiutarla che tiene aperto il buco del dolore dove lei affonda, il fatto di saperlo non gli serve a nulla, è inutile come il senso di colpa che prova per essersi lasciato scivolare lì dentro insieme a lei invece di rimanere all’esterno, all’aperto, sul bordo dello scavo e da quel punto provare a tirarla fuori con un forcipe straziante e risolutivo “oh, guardiamo i giocattoli” dice lei.
Cori si avvicina ai giocattoli e si mette a guardarli con lei, è un piccolo mondo affollato e costoso e inutile ma lei lo esplora con gli occhi di una rosa e certo è meglio così, adesso sta pensando alle bambine e si sente gioiosa e in pace, forse un po’ troppo eccitata, sì, ma anche tranquilla perché non c’è niente di più lontano dal dolore dei giocattoli, quando uno li può comprare mentre immagina come saranno contente le bambine aprendo quelle scatole magiche. 
Questo è normale, pensa Cori, e si ricorda che anche il dottore, a modo suo, parlava di qualcosa del genere, lo chiamava “principio di realtà” e diceva oltre ai farmaci ci sarebbe voluto qualcosa di diverso, una cura che provocasse un cambiamento profondo del modo in cui lei pensava e sentiva il mondo e la vita. 
“Le persone come sua moglie” aveva detto “vivono in una realtà tutta loro, sono asserragliate in un mondo che le perseguita ma che amano morbosamente e non vogliono lasciare” e più passava il tempo più era difficile trasferirle di nuovo nella realtà vera. 
E quando Cori gli aveva spiegato chiaro e tondo che a suo avviso le cose stavano esattamente al contrario, perché ciò di cui lei soffriva era una specie di troppo forte consapevolezza di come fossero fatti il mondo e la realtà, e che quindi nella sostanza aveva ragione, perché il mondo reale era veramente un brutto posto e quelli che erano capaci di viverci senza impazzire ci riuscivano solo perché lo prendevano a piccole dosi e non se lo ricordavano mai tutto insieme per com’era davvero, a quel punto il dottore si era fatto pensieroso e poi aveva accennato all’utilità di una terapia di coppia “ma se e quando sua moglie sarà in grado di affrontarla” aveva detto.
Eccola la terapia di coppia, pensa Cori, consiste nello stare in due nello stesso mondo, in quello di lei, perché il mio non serve e non basta, e intanto la aiuta a riempire due buste di giocattoli per le bambine, sono otto modellini tutti uguali di stazioni di servizio Shell, poi passano a prendere una collanina di strass e un paio di guanti di lana buona per la madre, ha le mie stesse mani, dice lei mentre cerca la misura giusta senza aprire le confezioni, poggiandosi i guanti sulle mani per vedere se la punta delle dita sporgono e se il palmo si adatta.
Prima di uscire, lei prende ancora due confezioni di merendine, poi si allontana di colpo e Cori sta già per mettersi a chiamarla ad alta voce quando la vede tornare con un’altra busta piena.
Guarda che amore, dice aprendo appena la busta per fargli vedere i due Pinocchi di plastica, questi le faranno impazzire, hanno il naso che cambia colore ogni ora, ventiquattro colori diversi, però dobbiamo ricordarci di prendere anche le pile.
Passano attraverso le casse, Cori paga tutto alla svelta con la carta di credito, arrivano al parcheggio con lei che ha già smesso di essere allegra, Cori la fa salire davanti, poi mette le buste nel bagagliaio, sale anche lui e accende il motore.
Per prima cosa, le dice, portiamo i regali alle bambine, va bene?
Lei non risponde, sta guardando qualcosa più avanti, lungo il traffico, a cento metri dal supermercato c’è un signore in maniche di camicia che sta caricando delle scatole di computer su un camioncino.
Perché non ha la giacca? chiede lei, e Cori risponde che ce l’ha, certo che ce l’ha, è solo che se l’è tolta per essere più libero mentre lavora e poi oggi non fa freddo, Non ti preoccupare.
Ma lei insiste che debbono subito farlo salire in macchina e tornare al supermercato per fargli provare qualche giacca, magari gli serve, dice, come fai a essere tanto sicuro che ce l’ha? Io proprio non la vedo. Per me quello non ce l’ha affatto una giacca, porcaschifosa.

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